sabato 1 marzo 2014

Putin e Solzenicyn: un rapporto importante


Da tempo la Russia è al centro dell’attenzione internazionale. Affari con il nostro paese (Berlusconi prima, Letta, nonostante tutto, poi), guerra in Siria, contatti con l’Egitto, rapporti con papa Francesco e diplomazia vaticana, olimpiadi invernali, scontri con Obama, discordie ucraine… In un modo o nell’altro la Russia entra sempre. Di solito demonizzata, vituperata, derisa, da chi finge di non sapere, come notava Massimo Boffa su questo stesso giornale, che mai quel paese ha sperimentato tanta ricchezza e tanta libertà, nel suo passato, come oggi; da chi vuole dimenticare che Putin viene dopo gli zar, dopo Lenin e Stalin, dopo i disastri e la corruzione dell’epoca di Eltsin…
Certamente se il presidente russo avesse una faccina più dolce, un torace meno maschio, e un eloquio così morbido e mellifluo come quello del suo omologo Obama; se, come lui, avesse la capacità di tenere rigidamente separati parole e fatti, premio Nobel per la pace e uso massiccio dei droni, allora sul mercato dell’immagine se la passerebbe molto meglio.
Ma al di là della propaganda, da guerra fredda, qual è la realtà?
A me sembra quella seguente. La Russia post comunista è un paese completamente allo sbando. Distrutto dal comunismo, e dalla sua improvvisa dissoluzione; con altissimi tassi di suicidi, di aborti, di divorzi, di alcolismo…tassi destinati persino a crescere, per la caduta di ogni argine, dopo il crollo del regime. La Russia post 1991, infatti, è un paese che si trova improvvisamente senza neppure la possibilità di godere di ordini chiari e precisi; di regole almeno esteriormente efficaci… così dalla religione comunista si passa automaticamente alla religione del nulla, del denaro, del potere, del “si salvi chi può”. Perché il comunismo altro non era che l’oppio del proletariato, destinato a dissolversi dopo essersi rivelato per ciò che effettivamente è l’oppio: un creatore di illusioni.

La Russia dell’epoca Eltsin è un paese allo sbando, di cui gli Usa, rimasti l’unica superpotenza dopo gli anni del bipolarismo, non devono affatto preoccuparsi. Il suo esercito è dissolto; le sue materie prima sono in mano a pochi oligarchi, arraffoni e senza scrupoli; la nuova classe politica è fatta di nani alla ricerca spasmodica di privilegi e di potere, che nascondono dietro la parola libertà il perseguimento dei loro privati interessi. Nel 1998 il paese vive una grave crisi finanziaria, tanto da rischiare il default. Solženicyn, il nemico implacabile del comunismo e dei gulag, colui che dovrebbe più di tutti esultare per la “democrazia” di Eltsin, pubblica, proprio in quest’anno, “La Russia nell’abisso”. E denuncia il pendio scivoloso su cui la sua patria è incamminata.

Il 31 dicembre 1999 Boris Eltsin, in lacrime, presenta le sue dimissioni, dopo aver rivendicato il suo ruolo nel ritorno alla libertà, ma consapevole, nello stesso tempo, secondo le sue parole, “che molti sogni miei e vostri non si sono avverati”.
E’ qui che entra in scena Vladimir Putin, che nessuno immagina possa risollevare le sorti politiche ed economiche di un paese in stato comatoso. Qui si collocano anche gli incontri “frequenti, stretti, ma non (sempre) pubblicizzati” tra lui e Solženicyn. Incontri raccontati da Ljudmila Saraskina, in una biografia del grande scrittore russo, “Solženicyn”, di 1432 pagine (edita da San Paolo). Quali sono le priorità che il grande scrittore ha modo di comunicare, e di condividere, con l’astro nascente della politica russa? Solženicyn sostiene che i problemi da risolvere, per risollevare il paese, sono essenzialmente 3: occorre frenare la catastrofe demografica, che fa perdere alla Russia circa un milione di persone all’anno; occorre rivedere le privatizzazioni selvagge realizzate nell’epoca di Eltsin, e gestite a vantaggio di pochi, ai danni del popolo; occorre impedire che il passaggio dal comunismo alla democrazia liberale segni la morte definitiva dell’anima religiosa russa, traghettando il paese dal materialismo comunista a quello liberale; dalla dittatura ideologica marxista al non-pensiero, privo di ogni fondamento metafisico, della “tribù istruita” occidentale.
Ebbene, in un paese in cui la crescita della pratica religiosa va di pari passo con la ripresa di influenza politica ed economica, Putin, a ben vedere, ha fatto, da tanti anni a questa parte, quello che Solženicyn gli aveva indicato: ha esonerato gli oligarchi, restituendo allo Stato e ai russi i loro beni nazionali; cerca di frenare la frammentazione delle famiglie russe e il ricorso all’aborto (si è passati dai 1,2 milioni di aborti del 2008 ai 935 mila del 2012), tramite campagne pubblicitarie e sostegni concreti alla famiglia e alla vita nascente; combatte, ricambiato, il modello obamiano-occidentale, improntato al nichilismo dei cosiddetti diritti civili spacciato come visione umanitaria e progressista.
I motivi dell’azione di Putin sono solo politici? Derivano anche da convinzioni religiose? Difficile dirlo con assoluta certezza. Certamente da 15 anni la Russia cresce, l’Occidente, invece, declina. Qualcuno dice che è la profezia di Fatima che si avvera. Sia così, o meno, il bipolarismo, almeno valoriale, sembra in qualche modo tornato. Il Foglio, 28 febbraio, 2014
ps: il presente articolo non affronta, volutamente, la questione ucraina, troppo complessa per una lettura semplicistica, di un tipo o dell’altro

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