venerdì 22 maggio 2015

Un'alleanza stabile e generativa

Papa Francesco nella catechesi del mercoledì: “Ridare onore al matrimonio e alla famiglia”
Quando Dio lo creò, all’uomo “mancava qualcosa per arrivare alla sua pienezza, gli mancava reciprocità. La donna non è una ‘replica’ dell’uomo; viene direttamente dal gesto creatore di Dio. L’immagine della ‘costola’ non esprime affatto inferiorità o subordinazione ma, al contrario, che uomo e donna sono della stessa sostanza e sono complementari, anche hanno questa reciprocità”. L’ha detto Papa Francesco ieri mattina, nell’udienza del mercoledì, proseguendo la catechesi sulla famiglia sul tema “Maschio e femmina li creò”, tratto dalla Genesi.
Con il peccato, che “genera diffidenza e divisione fra l’uomo e la donna”, il loro rapporto “verrà insidiato da mille forme di prevaricazione e di assoggettamento, di seduzione ingannevole e di prepotenza umiliante, fino a quelle più drammatiche e violente. La storia ne porta le tracce. Pensiamo, ad esempio, agli eccessi negativi delle culture patriarcali. Pensiamo alle molteplici forme di maschilismo dove la donna era considerata di seconda classe. Pensiamo – ha proseguito il Papa – alla strumentalizzazione e mercificazione del corpo femminile nell’attuale cultura mediatica. Ma pensiamo anche alla recente epidemia di sfiducia, di scetticismo, e persino di ostilità che si diffonde nella nostra cultura – in particolare a partire da una comprensibile diffidenza delle donne – riguardo ad un’alleanza fra uomo e donna che sia capace, al tempo stesso, di affinare l’intimità della comunione e di custodire la dignità della differenza”.
Così, la “svalutazione sociale per l’alleanza stabile e generativa dell’uomo e della donna è certamente una perdita per tutti. Dobbiamo riportare in onore il matrimonio e la famiglia! E la Bibbia dice una cosa bella: l’uomo trova la donna, si incontrano… e l’uomo deve lasciare qualcosa per trovarla pienamente. E per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre per andare da lei. È bello! Questo significa incominciare una strada. L’uomo è tutto per la donna e la donna è tutta per l’uomo”.
“La custodia di questa alleanza dell’uomo e della donna, anche se peccatori e feriti, confusi e umiliati, sfiduciati e incerti, è – ha concluso il Papa – per noi credenti una vocazione impegnativa e appassionante, nella condizione odierna”.
da | familia.org

Capolavoro della società

L’udienza del Papa sul matrimonio, “legame tra uomo e donna benedetto da Dio fin dalla creazione”

Ha richiamato le nozze di Cana e “il libro della Genesi, quando Dio finisce l’opera della creazione e fa il suo capolavoro”. Il capolavoro, ha sottolineato, “è l’uomo e la donna. E qui Gesù incomincia proprio i suoi miracoli con questo capolavoro, in un matrimonio, in una festa di nozze: un uomo e una donna. Così Gesù ci insegna che il capolavoro della società è la famiglia: l’uomo e la donna che si amano! Questo è il capolavoro!”. Sono, queste, le parole pronunciate da Papa Francesco stamattina in Piazza San Pietro durante l’udienza dedicata al disegno originario di Dio sulla coppia uomo-donna.
Dai tempi di Cana, dove Gesù “non solo partecipò a quel matrimonio, ma ‘salvò la festa’ con un miracolo del vino”, ha proseguito Francesco, “tante cose sono cambiate, ma quel ‘segno’ di Cristo contiene un messaggio sempre valido”. Eppure oggi “i giovani non vogliono sposarsi, in molti Paesi aumenta il numero delle separazioni, mentre diminuisce il numero dei figli”. Che, poi, delle separazioni sono le prime vittime: “Se sperimenti fin da piccolo che il matrimonio è un legame ‘a tempo determinato’, inconsciamente per te sarà così. […] C’è questa cultura del provvisorio… tutto è provvisorio, sembra che non c’è qualcosa di definitivo”.
Secondo il Papa non ci si sposa “solo per difficoltà di carattere economico, sebbene queste siano davvero serie”, e nemmeno per il cambiamento avvenuto in questi ultimi decenni “messo in moto dall’emancipazione della donna”. “In realtà – ha evidenziato – quasi tutti gli uomini e le donne vorrebbero una sicurezza affettiva stabile, un matrimonio solido e una famiglia felice”, ma “forse la paura di fallire è il più grande ostacolo ad accogliere la parola di Cristo, che promette la sua grazia all’unione coniugale e alla famiglia”.
Eppure, la “testimonianza più persuasiva della benedizione del matrimonio cristiano – ha detto – è la vita buona degli sposi cristiani e della famiglia. Non c’è modo migliore per dire la bellezza del sacramento! Il matrimonio consacrato da Dio custodisce quel legame tra l’uomo e la donna che Dio ha benedetto fin dalla creazione del mondo; ed è fonte di pace e di bene per l’intera vita coniugale e familiare. […] Il seme cristiano della radicale uguaglianza tra i coniugi deve oggi portare nuovi frutti. La testimonianza della dignità sociale del matrimonio diventerà persuasiva proprio per questa via, la via della testimonianza che attrae, la via della reciprocità fra loro, della complementarietà fra loro”. I cristiani, ha aggiunto il Papa rivolgendosi infine ai pellegrini italiani presenti in piazza, “quando si sposano ‘nel Signore’, vengono trasformati in un segno efficace dell’amore di Dio. I cristiani non si sposano solo per sé stessi: si sposano nel Signore in favore di tutta la comunità, dell’intera società”.
da | familia.org

giovedì 21 maggio 2015

Quelle parole indispensabili (familia.org)

Nella catechesi Papa Francesco torna sul valore di “permesso”, “scusa” e grazie” per una vita “felice e salda”
L’aveva già detto ai fidanzati, nell’incontro del 14 febbraio dell’anno scorso, ma ieri, nella sua udienza del mercoledì in piazza San Pietro, Papa Francesco l’ha ribadito: “permesso”, “scusa” e “grazie” sono “nella vita di coppia e di famiglia”, “le parole indispensabili a una vita felice e salda, dove amore reciproco e rispetto hanno la meglio sugli atteggiamenti che minano il rapporto”. Con queste tre parole, “cartina al tornasole” per capire se le fondamenta di una casa sono di roccia o sabbia, il Papa ha impostato la catechesi con la quale, spiega, intende iniziare “una serie di riflessioni sulla vita in famiglia”.
Per prima cosa Francesco ha riflettuto sulla buona educazione, che può essere “mezza santità”, come diceva Francesco di Sales, oppure, ha affermato, “maschera che nasconde l’aridità dell’animo e il disinteresse per l’altro”, in una parola “cattive abitudini”: “Il diavolo che tenta Gesù sfoggia buone maniere - ma è proprio un signore, un cavaliere - e cita le Sacre Scritture, sembra un teologo. Il suo stile appare corretto, ma il suo intento è quello di sviare dalla verità dell’amore di Dio. Noi invece intendiamo la buona educazione nei suoi termini autentici, dove lo stile dei buoni rapporti è saldamente radicato nell’amore del bene e nel rispetto dell’altro. La famiglia vive di questa finezza del voler bene”.
Poi Francesco si è soffermato sul peso che le tre parole hanno sulla vita di coppia e di famiglia: “Dire ‘permesso’, cioè ‘chiedere gentilmente anche quello che magari pensiamo di poter pretendere’, fa in modo che vi sia un ‘vero presidio per lo spirito della convivenza matrimoniale e famigliare”: “Entrare nella vita dell’altro, anche quando fa parte della nostra vita, chiede la delicatezza di un atteggiamento non invasivo, che rinnova la fiducia e il rispetto. La confidenza, insomma, non autorizza a dare tutto per scontato”. Quanto al “grazie”, Francesco ha sottolineato come la nostra stia diventando una “civiltà delle cattive maniere e delle cattive parole”, dove chi ringrazia, guardato con “diffidenza”, sembra addirittura debole.
“Dobbiamo – ha auspicato – diventare intransigenti sull’educazione alla gratitudine, alla riconoscenza: la dignità della persona e la giustizia sociale passano entrambe di qui. Se la vita famigliare trascura questo stile, anche la vita sociale lo perderà. La gratitudine, poi, per un credente, è nel cuore stesso della fede: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio”.
Infine, “scusa”: senza, si allargano le “piccole crepe” che esistono in un rapporto, facendole diventare “fossati profondi”. Eppure “riconoscere di aver mancato, ed essere desiderosi di restituire ciò che si è tolto – rispetto, sincerità, amore – rende degni del perdono. E così si ferma l’infezione”, ma “se non siamo capaci di scusarci, vuol dire che neppure siamo capaci di perdonare”. Ancora, il Papa ha raccomandato di “non finire mai la giornata senza fare la pace in famiglia”. Non occorre “mettersi in ginocchio”, basta “un piccolo gesto, una cosina così”. E, ha concluso, “con questo la vita sarà più bella”.

Leggi la catechesi
da | familiam.org

Ci vuole coraggio (familia.org)

Papa Francesco in udienza sulla bellezza del matrimonio cristiano: "Amare come Cristo ama la Chiesa"

Non solo “fiori, abito e foto”, ma molto di più. Queste le nozze secondo Papa Francesco, che nella sua udienza di oggi in piazza san Pietro ha parlato della bellezza del matrimonio cristiano. L'amore tra i coniugi, ha detto riprendendo San Paolo, "è immagine dell’amore tra Cristo e la Chiesa”. “Una dignità impensabile”, commenta il Papa che aggiunge come questa analogia per quanto “imperfetta” abbia un “senso spirituale” “altissimo e rivoluzionario”, ma al tempo stesso “alla portata di ogni uomo e donna che si affidano alla grazia di Dio”. Rivolgendosi ai mariti presenti in piazza, Francesco ha ricordato che, come si legge nella Lettera agli Efesini, devono amare la moglie “come il proprio corpo”, e che il sacramento del matrimonio è “un grande atto di fede e di amore”. La Chiesa stessa, ha aggiunto, “è pienamente coinvolta nella storia di ogni matrimonio cristiano: si edifica nelle sue riuscite e patisce nei suoi fallimenti”. Pertanto “la decisione di sposarsi nel Signore – ha proseguito – contiene anche una dimensione missionaria”, “infatti gli sposi cristiani partecipano in quanto sposi alla missione della Chiesa”. “E ci vuole coraggio per questo, eh! Per questo quando io saluto i novelli sposi, dico: ‘Ecco i coraggiosi!’, perché ci vuole coraggio per amarsi così come Cristo ama la Chiesa. La celebrazione del sacramento - ha sottolineato - non può lasciar fuori questa corresponsabilità della vita familiare nei confronti della grande missione di amore della Chiesa. E così la vita della Chiesa si arricchisce ogni volta della bellezza di questa alleanza sponsale, come pure si impoverisce ogni volta che essa viene sfigurata”.
da | familia.org

martedì 19 maggio 2015

Sì alla famiglia lancia un Testo unico sui diritti dei conviventi


Sì alla famiglia lancia un Testo unico sui diritti dei conviventi
Sì alla famiglia ha presentato a Roma in una riunione con parlamentari di diversi partiti, e propone con un comunicato del 16 gennaio, un testo unico sui diritti dei conviventi. Il testo elenca e ribadisce quanto l’ordinamento italiano già prevede, esplicitamente o implicitamente, per le persone impegnate in convivenze. Tra questi l’assistenza del partner in ospedale e in carcere e la successione nei contratti di locazione. Il testo ribadisce che il partner di fatto ha titolo, a determinate condizioni, al risarcimento del danno subito dall’altro partner e all’indennizzo che spetta al partner vittima di delitti di mafia o di terrorismo. Tutto questo per le convivenze tra persone sia di sesso diverso, sia dello stesso sesso.

Lo scopo è quello di distinguere con estrema chiarezza il cosiddetto “matrimonio” omosessuale, con la conseguente possibilità di adottare figli, cui siamo assolutamente contrari anche qualora lo si nasconda pudicamente sotto il nome di “unioni civili”, dal riconoscimento dei diritti e doveri che derivano dalle convivenze. Per questo, a differenza di quanto fa il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili, non parliamo di unioni civili – una sigla che in tutta Europa significa qualcosa di analogo in tutto al matrimonio tranne che nel nome – e non prevediamo né l’adozione né la riserva di legittima per la successione né la reversibilità delle pensioni, che sono cose tipiche dei matrimoni o almeno di simil-matrimoni. Sì alla Famiglia ricorda che non sono oppositori del disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili o delle proposte annunciate da Renzi a sostenere che le unioni civili sono matrimoni sotto altro nome. Lo ha affermato in un’intervista a «Repubblica» del 16 ottobre 2014 lo stesso sottosegretario Scalfarotto, dichiarando che «l’unione civile non è un matrimonio più basso, ma la stessa cosa. Con un altro nome per una questione di realpolitik». E se anche si costruisse un istituto presentato come “la stessa cosa” del matrimonio senza adozioni, è certo che le adozioni, com’è avvenuto in Germania e in altri Paesi, sarebbero rapidamente introdotte dalla Corte Costituzionale in nome del principio di uguaglianza.

Questo testo, che rende maneggevoli e coordina disposizioni che l’ordinamento italiano già comprende , permetterà ai parlamentari di schierarsi e agli elettori di comprendere le loro posizioni. Chi vuole il “matrimonio” omosessuale, completo di adozioni subito o tra qualche anno, potrà votare le unioni civili della Cirinnà o di Renzi. Chi vuole ribadire che ai conviventi, dello stesso sesso o di sessi diversi, sono riconosciuti i diritti e i doveri relativi alla sanità, alle carceri, alla locazione, ai risarcimenti, ma vuole chiudere la porta al “matrimonio” e alle adozioni, ora ha un testo su cui convergere.

da | santateresaverona.it

Senza la carità “non sarei niente”


 Mother Teresa



Bassetti: “La gioia è il regalo che il cristianesimo ha fatto all’umanità. La carità è il mezzo per vivere, senza ipocrisia, la fede”

di Chiara Santomiero


Vent’anni di ordinazione episcopale con la stessa intatta gioia nel cuore: annunciare il Vangelo e viverlo nel servizio agli ultimi con la consapevolezza che senza la carità, come scrive san Paolo, "io non sarei nulla". E’ il messaggio consegnato al libro “La gioia della carità” (Marcianum Press, 2015) che raccoglie una selezione di interventi, discorsi e omelie svolti dal Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Conferenza episcopale umbra, a partire dal giorno della sua consacrazione episcopale - avvenuta l'8 settembre del 1994 - fino ad oggi. In un perfetto sillogismo, si legge nella introduzione che: “La gioia è il regalo che il cristianesimo ha fatto all’umanità. La carità è il mezzo per vivere, senza ipocrisia, la fede. Essere cristiani senza gioia non è possibile e dalla gioia della carità scaturiscono l’annuncio del Vangelo e lo slancio missionario verso gli ultimi”. Così come un volto di Chiesa: quello che ha disegnato il Concilio Vaticano II.

CHIESA, CASA ACCOGLIENTE PER TUTTI

La Chiesa è il luogo di accoglienza di tutti. Così come le espressioni più evidenti della santità della Chiesa sono caratterizzate dalla dimensione dell’accoglienza – dalla tradizione monastica dell’ospitalità alle innumerevoli congregazioni e “opera” nate nei secoli XVIII-XX per l’accoglienza, il soccorso e l’educazione dei poveri, fino alla figura di Madre Teresa di Calcutta di Calcutta – così anche I fedeli, le parrocchie e le realtà ecclesiali dovrebbero mettere al primo posto l’apertura a ognuno che voglia accostarsi. In particolare, scrive Bassetti, a proposito della “conversione pastorale” come via necessaria alla riforma della Chiesa, “la famiglia cristiana può e deve brillare per la testi-monianza dell’accoglienza a partire dalle occasioni più semplici e immediate che i figli con le loro amicizie offrono”. L’accoglienza e l’ospitalità in famiglia costituiscono, infatti, un pilastro educativo e un anticorpo all’individualismo e sono espressione della maternità della Chiesa. Alle comunità ecclesiali chef anno fatica ad aprirsi ad una vera accoglienza, Bassetti ricorda che accogliere è “più che gesti e azioni”: si tratta di una “attitudine” che implica, “una dinamica di conversione permanente nella sequela di Gesù”.

LA BARCA DI PIETRO E L’ICONA DEL PESCATORE

La Chiesa, tuttavia, non è chiamata a rimanere “ferma” nei suoi confini pur aprendosi all’accoglienza – “non è un castello assediato” -: la barca di Pietro deve “saper mollare gli ormeggi e prendere il largo”, resistendo alle onde e ai venti avversi, per farsi pescatrice di uomini. Con la sicurezza che “al timone della barca c’è sempre Dio”. Qual può essere quindi lo spirito del cristiano che annuncia il Vangelo? Al cardinale di Perugia piace utilizzare l’icona del pescatore, una imagine tratta dalla lettera apostolica Novo Millennio Ineunte di san Giovanni Paolo II: l’icona del pescatore. Il pescatore ha sapienza e rispetto del Creato, ma soprattutto “non sta fermo lungo la riva, non aspetta i pesci che arrivano alla sua barca ormeggiata al pontile, ma si mette in movimento con audacia e mitezza”. Il pescatore è capace di prendere il largo. così come fece Pietro fidandosi di Gesù a gettare le reti al largo. La condizione principale per “prendere il largo” consiste, dunque, spiega Bassetti “nel saper sempre riconoscere con umiltà chi è il Signore della storia e nel saper coltivare un profondo spirito di pre-ghiera alimentato dal quotidiano ascolto della parola di Dio”.

UN PASTORE IN MEZZO AL GREGGE

Secondo Padre Enzo Bianchi, priore del monastero ecumenico di Bose, Gualtiero Bassetti è un vescovo che conosce molto bene la “regola pastorale” respirata nella chiesa fiorentina da cui proviene attraverso l’incontro con figure straordinarie citate nel libro, sia laiche, come il “sindaco santo” La Pira, che religiose, come padre Balducci. I suoi scritti, ha rilevato presentando il libro lo scorso 19 aprile, non sono teologici, perché “la teologia va insegnata nelle università” (Corriere dell’Umbria”. I pastori, invece, stanno in mezzo al loro gregge e il cardinale Bassetti è “uno di questi, figlio del Concilio Vaticano II e in tutti i suoi scritti si colgono le indicazioni conciliari della Chiesa di inizio terzo millennio”. Nello scorrere degli interventi si snoda il filo rosso del concetto evangelico per cui “c’è più gioia nel dare che nel ricevere” e l’arcivescovo di Perugia è consapevole che “nell’essere pastore si prova quella gioia che il Signore dona al pastore stesso”.

Tutti i proventi del libro sono devoluti al Fondo di solidarietà delle Chiese umbre per le famiglie in difficoltà

sources: ALETEIA 
da | Aleteia 

Ercolino, lo scarabocchio di Dio


Happy old man_

 «Faccio del bene e Gesù e Maria sono contenti»
di Antonio Margheriti Mastino

Certe volte la domenica vado in questa parrocchia romana, della quale per ovvie ragioni taceremo il nome: una delle tante che si somigliano. L’edificio è anni ’50. E sono costernato da questo spazio disadorno, dall’arredamento sacro dozzinale, dai microfoni gracchianti e a tutta birra che rompono i timpani propalando prediche logorroiche e sfibranti ma che non quagliano mai: parole parole parole. Che ti rubano il diritto ad ascoltare il silenzio di Dio, mentre avverti il soffio lieve dello Spirito. Mi opprime questo sentore generale di squallore e incuria. Solo mi consola la certezza che quelli lì sono dei buoni preti, nonostante tutto: ci credono. E fanno quel che possono, come possono.

Quando arriva il momento della comunione, tutti si alzano a prenderla, salvo io e qualche altro reietto. E allora mi chiedo: possibile che sia rimasto l’unico peccatore di questo quartiere? Possibile che non ci stanno, solo in questo quartiere, divorziati risposati, donne che abortiscono, gente con odio in corpo, ladri e truffatori d’ogni risma? Solo io son rimasto? E che avrò fatto mai di tanto abominevole! Cose che turbano la mia pace durante la liturgia. E lì ti domandi a che servono ‘sti sinodi quando poi, a prescindere, tutti prendono la comunione, con o senza grazia di Dio.

Mi disse un sacerdote di zona: «Siamo rimasti davvero in pochi e c’è da cominciare tutto daccapo: abbiamo bisogno d’aiuto e a questo dovreste servire voi laici più formati e coscienziosi. Ma oltre a crearci solo problemi, oltre a scambiare l’essere operai nella vigna con il voler “comandare” in sacrestia, oltre questo pure voi avete dimenticato che non di sole parole vive e s’evangelizza l’uomo: lo si fa anche con l’esempio.» L’esempio delle nostre vite, rapportate all’altro: il mondo ha bisogno più che di maestri, di testimoni diceva Paolo VI. Già! Lo dico pure al prete. Ma sempre alle parole stiamo, per quanto edificanti.

Il quale in effetti mi chiede: ma sapete ancora voi laici come si diventa “testimoni”? Testimoni della speranza cristiana. Bah, dico, essendo devoti, pregando con zelo, vivendo coerentemente: non era Benedetto XVI a dire che la Chiesa non è stata mai rinnovata dai disobbedienti ma dai santi? Sì, mi dice, anche, “ci mancherebbe”. Ma non basta. «Questo serve ad essere chiesa dentro la chiesa, ed è fondamentale, è la base.» Ma poi, fuori? Come si può comunicare questo “stato di grazia”?

«La risposta è il povero Ercolino: lui forse non lo sa, ma Ercolino è testimone della speranza che è in noi. Osserviamolo e facciamo come lui». Osservo per giorni Ercolino: è un povero vecchio di origini meridionali, zoppo, con un bastone, piccolo, sdentato, mezzo deforme, miope, con difficoltà a parlare, di pelo rossastro e rosse sono le sue guance e il nasone. Uno scarabocchio di Dio. E un uomo apparentemente solo.

Sembra sia stato già raccontato da Alda Merini, pazza e poetessa, nella descrizione del suo Gesù:

Nessuno si è accorto di lui,
che è passato silenzioso e inerte
in mezzo all’ombra e alla luce (…),
che ha vestito di cenci
e non si è mai curato della propria bellezza.

Ora però Ercolino è anche uomo di chiesa, non c’è messa che si perda, non c’è vangelo che non ascolti memorizzi e interiorizzi, non c’è volta che passando davanti il santo edificio mentre va a fare le sue piccole spese quotidiane (un pezzo di pane, una busta di latte, dei biscotti “calabresi”, un farmaco) non si faccia il segno della croce e mandi “un bacio volante” a quel che la chiesa nello scrigno del suo cuore conserva.

Ercolino è un uomo felice. Non ha niente, la natura gli ha negato tutto, ma è felice. Si accontenta di piccole cose, a orari fissi, al bar: un bicchiere di solo latte tiepido e questo è tutto, non prende altro. Ercolino, soprattutto, sorride sempre; celia, fa battute urbane galanti e gentili a tutte le ragazze e signore che hanno imparato a riconoscerlo; è saturo di un’ironia mite e antica, inoffensiva: piena di passione e compassione per gli esseri umani.

Ma Cristo era felice, era felice delle intemperie, era felice della pietra nuda, era felice della sua stessa parola (…) Guardava le donne come si guardano i fiumi che accompagnano la vela sbatacchiata da tutte le parti e le sentiva amiche essendo donna nel cuore.

Ercolino è povero ma dispensa ricchezza a tutto il quartiere: perché vede tutti, sorride a tutti, a tutti rivolge la parola e una battuta. E sorridendo e scherzando,  rimbrotta anche quando vede qualcosa di storto, ma non si serve di proverbi ché sono sempre così saccenti, usa il Vangelo: «Dice il Signore…» ed è così che a tutti ricorda qual è la fonte della sua gioia così “ingiustificata”; così rende noto il Vangelo, e così nel suo piccolo è apostolo della nuova evangelizzazione: è egli stesso, con tutta la sua persona, infelice fuori e serena dentro, Testimone: testimone della speranza che è in lui. E che lo divora come una candela la fiamma, che dà luce e calore tutt’intorno e dentro.

Ancora la Merini:

E come vorrei diventare anch’io un deserto di semplicità dove crescano sterpi e bisce e cose incolte che io amerò come fratelli perché consumeranno la mia carne. Oh, siano benedetti coloro che consumano le mie vesti così tribolate.

Perché tutti sanno che Ercolino è uomo di Chiesa, ma soprattutto è uomo di Dio: Ercolino è testimone e santo, e non c’è macchia, c’è innocenza in questo “piccolo” di Dio, al quale tante cose grandi sono state in semplicità rivelate. È un uomo che dovrebbe essere infelice e piegarsi su se stesso a commiserarsi ma che invece si stacca da se stesso e guarda i cieli e l’implora ridendo: beh, non c’è evangelizzatore e testimone più potente. La gente che passa, pensa e dice: «Vedi Ercolino: vorrei essere come lui». Perché Ercolino è felice. Felice che Dio c’è. Felice della vita che gli ha dato. Felice persino del suo corpo infelice. Felice della morte che verrà.
 
Nessuno si è accorto
che intorno a lui l’universo
gli faceva infamia
e che era una grande colata
di sudore e amore,
nessuno l’aveva visto.

Allora ho avvicinato Ercolino, e gli ho chiesto: ma perché sei felice della tua vita? «Perché se non fossi nato, non avrei potuto sorridere. A tante creature infelici, dire una parola buona  a chi ne ha bisogno. Perché essendo nato posso godermi anche qui le grazie di Dio. Oggi forse, con tutti quegli esami che fanno alle donne incinte, mi avrebbero abortito, perché, dicono, un figlio come me può solo soffrire. È gente infelice quella che pensa così». Poi mi fissa, e mi sorride, ma ammonendomi: «Dice il Signore: Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo.» Ci strapperà il cuore di pietra ci donerà un cuore di carne. Come ad Ercolino.
Incantato, certe volte, lo vedevo sorridente osservare degli sposi che uscivano dalla chiesa, delle madri con un pargolo in braccio, due fidanzati che si baciavano, e questo lo potevo capire. Non capivo perché però sorridesse anche vedendo un morto uscire dalla chiesa.
Glielo domandai. Scosse la testa, come a dire, “non hai capito niente”. «La gente pensa che pregare sia solo chiudersi in se stessi, in casa o in chiesa con un rosario e  mormorar giaculatorie. Anche questo… », traballante sulle gambe, si tirò fuori bruscamente un rosario dalla tasca e lo baciò con devozione, anzi: passione, e lo ripose, «ma non basta.» Che altro? «Dobbiamo fare di tutta la giornata, della nostra vita una preghiera.» E come? Scosse ancora la testa: «Quando vedi degli sposi uscire dalla chiesa dici una preghiera per loro: che imparino la virtù della pazienza, solo così non divorziano e sono fedeli. Quando vedi un bambino in braccio alla madre, preghi perché i genitori sappiano educarlo con giustizia e amore.

Quando vedo un vecchio come me…» e ride mentre  lo dice «dico una preghiera perché qualcuno gli faccia compagnia; se è un malato grave, ché impari la sopportazione e faccia una santa morte. Se un commerciante ha aperto un negozio, ché possa guadagnare il suo pane quotidiano: tanti commercianti oggi falliscono dopo pochi mesi, ogni settimana uno, due. Appena giri un angolo, mentre cammini, c’è sempre da pregare per qualcuno: ne hanno tanto bisogno!» Bisogna fare della nostra vita tutta una preghiera, di un intero quartiere una chiesa.

Eppure lo inseguivano tutti,
cercavano di toccarlo,
di capirlo,
di sapere quali erano le sue disubbidienze
«Per questo sorrido: faccio del bene e Gesù e Maria sono contenti.» E quando vedi una bara perché sorridi? «Certe volte non sorrido. Ma spesso sì: perché il cuore mi dice che quell’anima è in purgatorio, dunque è salva. E allora sono felice, e sono felice di poterla aiutare con le mie preghiere. E sorrido».

Ercolino, dico, molti santi piangevano. «Sapevano che c’erano tanti uomini che non sorridevano: a causa del loro peccato. Perché non avevano incontrato Cristo Liberatore.» Ossia la speranza cristiana. Che è in Ercolino. E ne fa un testimone vivente.

Quanto mai sono vere in lui le parole di Paolo: «Io vivo, ma non sono più io che vivo, sei tu, Signore, che vivi in me».
da | Aleteia 

lunedì 18 maggio 2015

Celebrazioni in tutto il mondo per i 750 anni dalla nascita di Dante


 
Mostre, convegni, concerti e spettacoli di danza, lectio magistralis e perfino una summer school: sono questi gli ingredienti che comporranno le celebrazioni per il 750.mo anniversario della nascita di Dante Alighieri, avvenuta a Firenze tra il 22 maggio e il 13 giugno 1265. Un programma denso con 187 eventi in Italia e 173 all’estero che vedono al centro soprattutto Firenze, Roma, Ravenna e Verona. Il 14 maggio scorso nel capoluogo toscano si è svolta una rievocazione storica con la grande sfilata dei gonfaloni. Tanti anche i protagonisti della scena culturale internazionale che si cimenteranno nella lettura dantesca della Divina Commedia.

 Cecilia Seppia:


“Gli angeli nel cielo parlano italiano", diceva Thomas Mann, e se questa nostra è la lingua più bella, la quarta più studiata nel mondo nelle università e nelle accademie, per gran parte si deve a lui. Durante di Alighiero degli Alighieri, il poeta talmente noto da essere conosciuto con il solo nome di Dante. Nasce a Firenze nel 1265,  tra l’ultima decade di maggio e la prima di giugno da famiglia nobile, frequenta gli ambienti letterari più importanti del tempo, si forma alla scuola “cortese” del Dolce Stil Novo avendo come amici e maestri Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Cino da Pistoia. Guelfo, di parte bianca, nel 1300 viene eletto priore del capoluogo toscano: si batte per la libertà e il suo ardore politico diventa un tratto distintivo del carattere, affiora dalla carta il suo sapersi coinvolgere nell’avvenire sociale di una città straziata da diverse fazioni, così come la fede cattolica, nonostante i contrasti sulla visione politica del tempo; fede totale e senza il minimo dubbio fondata sul Vangelo, a tal punto da meritarsi un’Enciclica commemorativa di Benedetto XV. 
Ancora, nel suo genio poetico, c’è l’amore per Beatrice: prima terreno, umano, poi talmente puro da essere eguagliato a Dio. Lei che saluta, ed ogni lingua “divien tremando muta” mentre gli occhi che le sono intorno “non l’ardiscon di guardare”. Infine la sintassi, tutta sostantivo e verbo, priva di compiacenze eppure perfettamente rispondente al "bello stile". Nelle sue opere si percepisce ogni lato, ogni sfumatura, soprattutto la schiettezza e la sincerità dell’ispirazione: un cuore puro e nuovo e quella fervida immaginazione che lo tiene alto da terra e vagabondo nel regno dell’aldilà. Regno che egli descrive nella sua Divina Commedia: apoteosi della poesia, ma coi personaggi che si staccano dal foglio per venirci incontro e con la trama unica e drammatica del viaggio, paradigma di ogni autentico tragitto dell’umanità. 
A 750 anni dalla nascita del Sommo Poeta si ricordano però tutte le sue opere, dalla "Vita Nova" al "Convivio", fino al" De Vulgari Eloquentia", dal "De Monarchia" alle "Rime": la grande bellezza di parole a cui il tempo invece di oblio regala gloria, facendoci riappropriare ogni volta dell’identità culturale italiana. “Diamo onore a Dante - ha detto di recente Papa Francesco, definendolo “poeta di speranza” - arricchiamoci della sua esperienza per attraversare le tante selve oscure ancora disseminate nella nostra terra e compiere felicemente il nostro pellegrinaggio nella storia”.
Ma quanto conosce oggi la gente Dante Alighieri?

Ascoltiamo alcuni commenti raccolti da Federica Bertolucci:


D. – Chi è Dante Alighieri?
R. – E’ …
R. – E’ un grande poeta italiano. Ha scritto la Divina Commedia!
R.  – Lo so, ma non mi viene da dire subito… Davanti a lei non mi viene.
R. – Un poeta.
D. – Si ricorda qualcosa?
R. – No!
D. – Chi è Dante Alighieri?
R. – Il padre della lingua italiana!
R. - E’ una persona… morta…
D. – La Divina Commedia di che parla?
R. – … di Lucia? No?
D. – Ti ricordi qualcosa? Un verso?
R. – “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai in una selva oscura, ché la retta via era smarrita”. Oppure: “La bocca levò dal fiero pasto”, il conte Ugolino. Mi è piaciuto studiarlo e lo ho letto con piacere.
R. – E’ il sommo poeta.
D. – Vi ricordate qualcosa di lui?
R. – Niente!
R. – Uno dei più grandi scrittori italiani; autore della Divina Commedia. Insomma, un patrimonio per noi.
D. – Ti ricordi qualcosa? Un verso?
R. – “Amor, ch’a nullo amato amar perdona”…
R. – Vorrei ritornare a studiarla… A casa mia c’è stata sempre la Divina Commedia!
R. – “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”. E’ grande! Ci dà la speranza e ci indica come dobbiamo vivere. Dante è la nostra anima. E’ l’essenza, è la vita. E’ il mio amore!

Bartolomeo I convoca il secondo Summit di Halki sull'ambiente


 
Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, ha convocato il summit di Halki II sull'ambiente e l'ecologia, che dall'8 al 10 giugno sarà ospitato dalla Scuola teologica dell'isola di Halki e sarà intitolato “Teologia, Ecologia e Parola: un colloquio sull'ambiente, la letteratura e le arti”. Lo riferiscono fonti ufficiali del patriarcato ecumenico, riprese dall'agenzia Fides.
Scopo del summit: approfondire le radici letterarie e filosofiche
La Conferenza internazionale dedicata all'ambiente, patrocinata in collaborazione con la Southern New Hampshire University, si inserisce nella lunga tradizione di iniziative e sessioni di studio e approfondimento – iniziate con il Simposio internazionale su religione, scienza e ambiente svoltosi nel 1995 a Patmos, l'isola dove fu scritta l'Apocalisse - dedicate dal patriarcato ecumenico alla questione della salvaguardia del creato su impulso del patriarca Bartolomeo e del metropolita Ioannis di Pergamo, universalmente considerato tra i massimi teologi cristiani viventi. “L'obiettivo del convegno – spiega lo stesso patriarca ecumenico in un messaggio di saluto diffuso dai media del patriarcato - è quello di approfondire le radici letterarie e filosofiche della nostra preoccupazione per una gestione dell'ambiente equilibrata e sostenibile”.
Al metropolita Ioannis la relazione d'apertura
Tra i relatori figurano letterati come Terry Tempest Williams e teologi come l'anglicano Timothy Gorringe. I loro interventi - spiega il primus inter pares dei primati ortodossi – aiuteranno a riaffermare la necessità di tutelare l'ambiente valorizzando in particolare la bellezza del creato come dono di Dio e costante sorgente d'ispirazione del genio artistico. La relazione d'apertura sarà affidata al metropolita Ioannis. Per il mese di giugno è prevista anche la pubblicazione dell'enciclica di Papa Francesco dedicata alla questione ambientale. (G.V.)

da | Radio Vaticana

domenica 17 maggio 2015

APPUNTI DALLA SCUOLA DI CRISTIANESIMO SULLA CARITA' E SULLA MISSIONE NEL MOVIMENTO ECCLESIALE CARMELITANO

Appunti presi dalla lezione di P.Antonio Sicari  (Non rivisti dall'autore)



CARITA'
Nel parlare di Carità bisogna pensare innanzitutto a Dio:Tutto carità e Tutto amore.
E poi trovare la strada per FARE la carità.

A che condizioni possiamo dire MIO GRANDE AMORE come per esempio la canzone che ha vinto Sanremo quest'anno?
Per essere vere queste parole le deve dire un Dio fatto carne!
E quando si capisce questo si tenta di Ricambiarlo ("Chi è amato ha diritto di amare quanto è amato"..che bellezza!)
Io imparo nel corso degli anni a restituirgli le parole di amore che mi dice.


Noi diciamo TI VOGLIO BENE alle persone in maniera piccola,imprecisa e tuttavia SACRAMENTALE da quando un Dio fatto carne è venuto a dircele.
Il Desiderio più grande di ogni cuore umano è di VEDERE DIO (S,Teresa) E il volto più bello di Dio è il volto di chi soffre:"Quando tu ti avvicini ad una persona sofferente accade una Liturgia del Prossimo.......E' Cristo che va incontro a Cristo (è la Carità)
"DOBBIAMO METTERE SEMPRE LA NOSTRA FEDE
AL RIPARO DELLA CARITA'"

Madre Teresa,quando le domandarono come era il suo progetto disse:
"Il mio progetto ha un inizio,un centro ed un compimento.
COMINCIAMO col pulire le latrine... così apriamo il nostro cuore,
poi AMIAMO  Gesù e ci immergiamo nella  tenerezza del suo Amore ,
E poi LAVORIAMO per la Santificazione dei poveri(per dare a Dio dei Santi)"

Cosa può diventare una casa,cosa diventa un ambiente di lavoro quando come degli innamorati rischiamo di vedere Gesù ovunque!
....Guardando gli altri nel cuore....

MISSIONE

Essere Movimento vuol dire il muoversi di qualcosa :è l'Amore di Dio che ci raggiunge ed innesca il desiderio di muoversi verso Gesù negli altri

Ma la prima cosa che dobbiamo comprendere è il metodo di Gesù per la Missione.
Nella prima pagina degli Atti degli Apostoli si vede come questi aspettassero ancora il Trionfo di Gesù..nonostante avessero visto la Croce...
Il metodo di Gesù non è il CLAMORE CHE PIEGA MA IL CAMMINO CHE VA DA CUORE A CUORE.
Dio non vuole piegarci ad essere suoi schiavi,ma il suo metodo è il Fiat di Maria,cercare il sì di ogni creatura.
Il suo metodo non è vincerci ...ma il cercare amichevolmente il nostro cuore.
Perchè "Il cuore deve parlare al cuore" (Newmann)

PARLARE DI MISSIONE VUOL DIRE INNANZITUTTO PARLARE DI QUESTO---cuore a 
cuore...

Ma ci sono 2 modi di rapportarci con l'altro
Il nostro PROSSIMO non è una categoria affettiva,ma è una persona in cui ci si imbatte,che ci urta...Il Samaritano SI DEVE considerare prossimo del derubato sulla strada.
OGNI persona in cui ti imbatti è Gesù che ti dice :"Sono IO"
Può essere sgradevole,urtante,antipatica.....il primo giudizio,da cuore a cuore,è che Gesù ti dice:"Sono IO"
Camillo de Lellis diceva al malato"Signore,che posso fare per Te?"
E gli raccontava i suoi peccati...
Padre Damiano di MoloKai "Devo toccare i malati"..e prendeva il cibo con loro.

Allora il PRIMO MOVIMENTO:Comincia col dire "C'è qualcosa di Gesù in quella persona...mi sono imbattuto in Gesù!"
il SECONDO MOVIMENTO:Gesù lontano di dice:"Vieni da me!"
E poi Si comincia a muoversi col dire "Andiamo da Lui"
Questi sono i movimenti DA CUORE A CUORE

Ci sono delle leggi da rispettare per questi 2 movimenti
IL SOGGETTO CHE SI MUOVE DEVE ESSERE UN SOGGETTO GIA' SEGNATO DALL'AMORE:
"Li mandò a due a due...."
Davide e Tommaso in missione in Colombia...tanti altri nelle altre nostre missioni..
IL RAPPORTO COI LONTANI HA IN LORO COME ESEMPIO LA PROSSIMITA' DELL'AMICO.





Se la prossimità è vissuta bene ogni giorno,come la prossimità con Gesù,allora può venirei una grande intelligenza nel campo missionario.
PERCHE' CI SONO PERSONE CHE ASPETTANO DI SENTIRSI DIRE "Sei tu il mio Gesù!"












Fino alla fine dei tempi e dello spazio è questa una catena.....una catena di CUORI,quella che vuole Gesù.

E' Cristo che ti muove come prossimo e Cristo che ti muove come lontano.
(Lettera dalla comunità del Kansas...cuori toccati e scossi dalle parole e dalla testimonianza...)
(Lettere dai lager in Russia scritte a P.Antonio per ringraziarlo dei suoi Ritratti di Santi...)

In Conclusione...P.Antonio :
"Vi affido un compito per casa .......Prendete un foglio o una cartina,Segnate con un punto il luogo in cui siete,POI con un'altro punto il luogo più lontano che raggiungete con la vostra missionarietà.....FATEVI ORA UNA DOMANDA:....Quanto posso estendere questo punto?Quanto posso arricchire il flusso e il mio muovermi missionario (anche con la preghiera)?
MOVIMENTO....CARITA'....MISSIONE.....


da | umanoedivino.blogspot.it

LA CARITA' - 2015-04-10 - M.E.C. Scuola di Cristianesimo

sabato 16 maggio 2015

Italia fanalino di coda in Europa per le politiche familiari


 
Le politiche familiari continuano ad essere marginali in Italia: un punto per cento in meno di Pil rispetto agli altri paesi europei. Per questo, nella giornata internazionale della famiglia, il Forum chiede una netta inversione di tendenza. Anche il presidente Mattarella, in un messaggio, auspica che questo istituto sia "posto al centro delle politiche sociali", perché "fornisce un contributo decisivo”.

 Alessandro Guarasci:


Spesso molto proclamata, ma nei fatti poco difesa. E’ da anni che la famiglia vive un momento difficile. C’è chi vorrebbe includere in questo istituto unioni tra persone dello stesso sesso, dimenticando che invece esso nasce dall’incontro tra un uomo e una donna. Ma anche la famiglia tradizionale non gode di ottima salute, come dice il presidente del Forum delle Associazioni Familiari Francesco Belletti:
“Abbiamo un debito di politiche familiari molto grave nel Paese. Ci manca un punto di Pil sulle politiche per la famiglia e per l’infanzia. In Europa siamo al 2,2 per cento e noi siamo all’1,4. Vuol dire 15-17 miliardi che potrebbero essere investiti sull’equità fiscale, sul sostegno alle famiglie giovani e sui bambini. Di questo probabilmente il Paese dovrebbe rendersene conto. Quindi noi facendo una giornata sull’alleanza tra le generazioni vogliamo mettere proprio a tema questo”.
Il governo però promette di ridisegnare il welfare familiare. Il bonus bebè è un primo passo. Ora, compatibilmente con i conti pubblici, pensiamo al quoziente famiglia, dice il sottosegretario al Welfare  

Franca Biondelli:

“Questo è un orizzonte da perseguire. In ogni legge di stabilità e anche in questa ci sarà sicuramente una particolare attenzione. Gli incontri di questa settimana col dipartimento della famiglia stanno a indicare questa volontà. E’ un valore aggiunto e forse in questi ultimi anni forse ci siamo un po’ dimenticati”.

da | Radio Vaticana

Bambini maltrattati: in Italia sono oltre 91 mila.


 
Sono più di 91 mila i bambini maltrattati in Italia: questi i risultati  della nuova indagine realizzata da Autorità Garante per l’Infanzia, Terre des Hommes e Cismai presentata oggi presso la Sala della Regina a Montecitorio. 
C’era per noi Alessandro Filippelli:


Violenze, abusi e maltrattamenti ai danni di bambini e adolescenti sono impronte che segnano. L’indagine è una fotografia precisa della triste realtà dei minori maltrattati, la prima condotta con criteri di rilevazione riconosciuti a livello internazionale. Un lavoro di approfondimento sulla prevenzione e la cura del fenomeno. Federica Giannotta, Fondazione Terre des Hommes Italia:
“Sono stati adottati tutti quei criteri che permettono di avere una fotografia puntuale del problema. Sono stati sondati attraverso una scheda tecnica, nella quale venivano rivolte tutta una serie di domande che inizialmente richiedevano quanti fossero i bambini presenti sul territorio del singolo Comune, quanti presi in carico in generale, quanti presi in carico per maltrattamento, per quali forme di maltrattamento e la divisione anche di genere. Si è chiesto anche ai Comuni quali fossero stati, a quel punto, i servizi attivati per rispondere al bisogno registrato. Quindi, in questo senso, rientra in un campionamento: per la prima volta è stata adottata una fotografia scientificamente valida dell’epidemiologia della violenza sui bambini”.
Ma quali sono le politiche e gli strumenti messi in campo a tutela dell’infanzia. Vincenzo Spadafora, Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza:
“Noi, come Autorità di garanzia, quello che possiamo fare e quello che prevede la legge lo stiamo facendo: intanto - come oggi - fornire dei dati molto chiari; fornire con l’aiuto di esperti e di associazioni delle proposte concrete, che a volte non hanno neanche dei costi eccessivi al parlamento e al governo; e soprattutto mettere in rete le buone esperienze, perché ci sia anche una attività di confronto tra gli operatori, tra coloro che operano sul territorio. Però poi, fondamentalmente, i provvedimenti devono assumerli chi governa e non certo l’Autorità di garanzia. Quindi l’appello fondamentale va al governo che come prima cosa dovrebbe stabilire veramente una cabina di regia sui temi dell’infanzia e dell’adolescenza. Noi, per la prima volta, non abbiamo alcuna delega affidata sul tema dell’infanzia a un ministro, a un viceministro o a un sottosegretario e questo chiaramente rende difficile interloquire col governo e poter attuare quindi misure adeguate.
Presentati, infine, anche i risultati dell’impegno della prima Commissione consultiva sulla prevenzione e cura del maltrattamento, presieduta dal prof. Luigi Cancrini:
“I dati preoccupanti sono quelli relativi alle cose che non si fanno. Ci rendiamo conto del fatto che minori maltrattati e minori in difficoltà sono un numero enorme e che c’è poca capacità di aiutarli. Questi bambini sono destinati a crescere in un modo distorto e diventano poi i delinquenti, i tossicodipendenti, i grandi problemi del domani… E le loro vite restano bruciate da questa mancanza di intervento! Dobbiamo riuscire a far sì che la proposta politica colmi il vuoto fra il poco che si fa e il tanto che si dovrebbe fare”.  

da | Radio Vaticana

venerdì 15 maggio 2015

Parlamento Usa: suora irakena sul "genocidio" dei cristiani


I cristiani in Iraq sono sono vittime di un “genocidio umano e culturale” che rischia di trascinare “l’intera regione sull’orlo di una terribile catastrofe”. È quanto ha detto ieri suor Diana Momeka, religiosa domenicana irakena a Mosul, in un intervento davanti al Parlamento statunitense riunito a Washington. La religiosa, cui era stato rifiutato in un primo momento il visto dalle autorità Usa - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha raccontato il dramma della popolazione cristiana, vittima delle atrocità perpetrate dai jihadisti del sedicente Stato islamico. La situazione del Paese e del suo popolo è “grave”, conferma la suora, “ma non priva di speranza”. Al termine dell’intervento suor Diana si è rivolta alla comunità internazionale e al governo degli Stati Uniti, perché “la diplomazia e non il genocidio, il bene comune e non le armi” possano determinare “il futuro dell’Iraq e di tutti i suoi figli”.
Profughi cristiani nel corpo e nell'anima senza umanità e dignità
"Nel giugno dello scorso anno, - ha detto nel suo intervento la suora domenicana -  il cosiddetto Stato islamico in Iraq e in Siria (Is), ha invaso la piana di Ninive. Iniziando con la città di Mosul, l’Is si è impadronita di una città dopo l’altra, dando ai cristiani della regione tre alternative: convertirsi all’islam; pagare un tributo (jizya) allo Stato islamico; abbandonare le città (come Mosul), con nient’altro che i propri vestiti. Dal giugno 2014 in avanti, più di 120mila persone si sono ritrovate sfollate e senza casa nella regione del Kurdistan irakeno, lasciandosi alle proprie spalle il loro patrimonio e tutto ciò per cui avevano lavorato nel corso dei secoli. Questo sradicamento, la depredazione di ogni bene appartenuto sino ad allora ai cristiani, li ha resi profughi nel corpo e nell’anima, strappando via la loro umanità e la loro dignità".
Il ringraziamento alla Chiesa del Kurdistan
"Grazie a Dio - ha affermato la religiosa - la Chiesa nella regione del Kurdistan si è fatta avanti e ha curato in prima persona i cristiani sfollati, facendo davvero del proprio meglio per far fronte al disastro. Gli edifici appartenenti alla Chiesa sono stati aperti e messi a disposizione per fornire un riparo agli sfollati; hanno fornito loro cibo e altri generi di prima necessità, per far fronte ai bisogni immediati della gente; hanno anche fornito assistenza sanitaria gratuita. Inoltre, la Chiesa ha lanciato appelli cui hanno risposto molte organizzazioni umanitarie, le quali hanno fornito aiuti alle migliaia di persone in situazione di estremo bisogno. Oggi siamo grati per tutto ciò che è stato fatto, con la maggior parte delle persone che hanno trovato un riparo in piccoli container prefabbricati o in alcune case".
Lo Stato islamico vuole il genocidio umano e culturale dei cristiani
"La persecuzione che la nostra comunità si trova oggi a fronteggiare - osserva suor Diana - è la più brutale della nostra storia. Non solo siamo stati derubati delle nostre case, proprietà e terre, ma è stato distrutto anche il nostro patrimonio. L'Is ha distrutto e continua a demolire e bombardare le nostre chiese, i reperti archeologici e luoghi sacri come Mar Behnam e Sara, un monastero del quarto secolo e il monastero di San Giorgio a Mosul. Sradicati e cacciati a forza, abbiamo capito che il piano dello Stato islamico è di svuotare la terra dai cristiani e ripulire il terreno di ogni minima prova che testimoni la nostra esistenza nel passato. Questo è un genocidio umano e culturale. I soli cristiani che sono rimasti nella piana di Ninive sono quelli che sono stati trattenuti come ostaggi".
Misure urgente per la comunità cristiana irachena
​"La perdita subita dalla comunità cristiana nella piana di Ninive ha portato l’intera regione sull’orlo di una terribile catastrofe. Oggi per ripristinare, riparare e ricostruire la comunità cristiana in Iraq - ha concluso la religiosa irachena - bisogna adottare con la massima urgenza le seguenti iniziative: liberare le nostre case dalla presenza del sedicente Stato islamico e favorire il nostro rientro; promuovere uno sforzo comune e coordinato per ricostruire ciò che è stato distrutto - strade, acqua, forniture elettriche, ivi compresi i nostri monasteri e le nostre chiese e incoraggiare le imprese per contribuire alla ricostruzione dell’Iraq e del dialogo interreligioso. Questo può essere fatto attraverso le scuole, le accademie e progetti pedagogici ed educativi mirati". (R.P.)

da | Radio Vaticana

I due Francesco, quello dei media e quello reale

Sempre più distanti tra loro. La narrazione pubblica continua a dipingere il papa come un rivoluzionario. Ma i fatti provano il contrario

di Sandro Magister





ROMA, 15 maggio 2015 – Di papa Francesco ce ne sono ormai due e sempre più distanti tra loro: il Francesco dei media e quello vero, reale.

Il primo è arcinoto ed è andato in onda fin dalla sua prima apparizione sulla loggia della basilica di San Pietro.

È il racconto del papa che rivoluzione la Chiesa, che depone le chiavi del legare e del sciogliere, che non condanna ma solo perdona, anzi, nemmeno più giudica, che lava i piedi alla carcerata musulmana e al transessuale, che abbandona il palazzo per tuffarsi nelle periferie, che apre i cantieri su tutto, sui divorziati risposati come sui denari del Vaticano, che chiude le dogane del dogma e spalanca le porte della misericordia. Un papa amico del mondo, di cui già si magnifica l'imminente enciclica sullo "sviluppo sostenibile" prima ancora di vedervi cosa ci sarà scritto.

In effetti c'è parecchio, nelle parole e nei gesti di Jorge Mario Bergoglio, che si presta a questa narrazione.

Il Francesco dei media è un po' anche creazione sua, geniale, che nel volgere di un mattino ha miracolosamente capovolto l'immagine della Chiesa cattolica da opulenta e decadente a "povera e per i poveri".

Ma se appena si tocca con mano che cosa ha portato davvero di nuovo il pontificato di Francesco, la musica cambia.

La vecchia curia, a ragione o a torto così esecrata, è ancora lì tutta intera. Niente è stato smantellato o sostituito. Le novità sono tutte un di più: altri dicasteri, altri uffici, altre spese. I diplomatici di carriera, che il Concilio Vaticano II quasi stava per abolire, sono più al potere che mai, anche dove ci si aspetterebbe di trovare dei "pastori": come alla testa del sinodo dei vescovi o della congregazione per il clero. Per non dire dell'"inner circle" a contatto diretto col papa, privo di ruoli definiti ma influentissimo e con penetranti ramificazioni nei media.

Poi ci sono le questioni scottanti, che appassionano e dividono molto di più l'opinione pubblica. Il divorzio, l'omosessualità.

Papa Francesco ha voluto che se ne discutesse a viso aperto e lui per primo l'ha fatto, con poche, studiate, efficacissime battute, come quel "Chi sono io per giudicare?" che è diventato il marchio identificativo del suo pontificato, dentro e fuori la Chiesa.

Per mesi e mesi, tra le due estati del suo primo e secondo anno da papa, Bergoglio ha dato spazio e visibilità agli uomini e alle correnti favorevoli a una riforma della pastorale della famiglia e della morale sessuale.

Ma quando, nel sinodo dello scorso ottobre, ha verificato che tra i vescovi le resistenze a questa riforma erano molto più forti ed estese del previsto, ha corretto il tiro e da lì in poi non ha più detto una sola parola di sostegno ai novatori. Anzi, ha ripreso a martellare sui temi controversi, aborto, divorzio, omosessualità, contraccezione, senza più staccarsi di un millimetro dal rigido insegnamento dei suoi predecessori Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Da ottobre a oggi, Francesco è intervenuto su tali questioni non meno di quaranta volte, attaccando pesantemente soprattutto l'ideologia del "gender" e la sua ambizione di colonizzare il mondo, nonostante, ha detto, sia "espressione di una frustrazione e di una rassegnazione che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa". Passando dalle parole ai fatti, ha negato il "placet" al nuovo ambasciatore di Francia, perché omosessuale.

Anche sul divorzio Francesco si è irrigidito parecchio. "Con questo non si risolve nulla", ha detto recentemente riguardo all'idea di dare la comunione ai divorziati risposati, tanto meno, ha aggiunto, se loro la pretendono, perché la comunione "non è una coccarda, una onorificenza, no".

Sa che in questa materia le aspettative sono altissime e sa di averle lui stesso alimentate. Ma ne ha preso le distanze. "Aspettative smisurate", le definisce ora, sapendo di non poterle soddisfare. Perché dopo aver tanto annunciato un governo della Chiesa più collegiale, del papa con i vescovi insieme, è giocoforza che Francesco si allinei al volere dei vescovi, in grande maggioranza conservatori, e rinunci a imporre una riforma respinta dai più.

Nonostante tutto, i media continuano a vendere il racconto del papa "rivoluzionario", ma il vero Francesco ne è sempre più lontano

da | http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351047

mercoledì 13 maggio 2015

Firenze: patriarca Tawadros al Festival delle Religioni


 

Anteprima oggi a Firenze della seconda edizione del “Festival delle Religioni” che si svolgerà dal 15 al 17 maggio. L’iniziativa, sottotitolata #andiamoltre, gode del patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri e vuol offrire un’occasione di riflessione sull’attualità internazionale segnata negli anni recenti da scontri e nuovi conflitti, nella convinzione che la pluralità sia un valore non un pretesto per distruggere l’altro. Moltissimi gli ospiti di diverse appartenenze culturali, politiche e religiose che daranno vita ai dibattiti. Protagonisti dell’anteprima il Patriarca latino di Gerusalemme, mons, Fouad Twal, il rabbino Steinsaltz e il Patriarca copto-ortodosso Tawadros II.

Al microfono di Adriana Masotti, l’ideatrice dell’evento, Francesca Campana Comparini:


R. - Noi abbiamo cominciato un discorso lo scorso anno e ci siamo ritrovati incontrandoci su ciò che ci divide proprio perché siamo convinti che la pluralità sia un valore e non un pericolo. Detto questo, gli scenari mondiali dagli ultimi mesi sono cambiati, quindi oggi è necessario compiere un passo in avanti e dare un messaggio forte. Ecco perché abbiamo dato questo titolo nuovo, “Andiamo oltre”, che significa oltre il fanatismo, oltre la mortificazione della vita, della razza, delle idee, dell’uomo.
D. – Il programma del festival è veramente ricchissimo, attraversato sempre da questo filo rosso dell’andare oltre. Qualche esempio: oltre le ragioni della ragione, oltre la distruzione e quindi l’immortalità della bellezza, oltre divisioni e propaganda tra sunniti e sciiti, oltre lo scontro mediante la forza della compassione e tanto altro. Su tutto questo ci sarà il confronto tra visioni e punti di vista diversi…
R. – Assolutamente. Il nostro obiettivo è proprio questo: svelare le diversità. Ovviamente il nostro obiettivo non è rendere una finta fratellanza, no! Ognuno ha la sua specificità, la sua unicità che va mantenuta e va custodita, potremmo dire. Detto questo abbiamo un orizzonte comune e quindi ecco perché è obbligatorio andare oltre.
D. – Perché Festival delle Religioni? Perché mettere in campo le religioni nell’affrontare tanti temi di attualità? Hanno un ruolo particolare per voi?
R. - Assolutamente sì, le religioni orientano, influiscono sulle dinamiche politiche, economiche e sociali non da qualche giorno, ma da sempre, dacché ci sono. Ecco perché è fondamentale rendersi consapevoli di questi movimenti, proprio di questa struttura, direi radicale, in tutti gli aspetti del nostro vivere. Quindi non si può non tenere conto delle religioni.
D. – Oggi l’anteprima del Festival con la presenza tra gli altri del Patriarca copto-ortodosso Tawadros II, la voce più rappresentativa dei cristiani perseguitati dall’estremismo islamico...
R.  – Papa Tawadros è la voce dei martiri di questo secolo, quello che vogliamo dare al lui è un segno di solidarietà: donargli un briciolo della nostra speranza per fargli capire che noi come Festival delle Religioni, come fiorentini, ci siamo e siamo solidali con i drammi che accadono in Medio Oriente.

da | Radio Vaticana

Conferenze episcopali dell’Europa centro-orientale sulla famiglia


 
A Bratislava nella Repubblica Slovacca si è concluso ieri un incontro internazionale dei vescovi della Europa centro-orientale con la partecipazione di presuli di Lituania, Croazia, Ucraina, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Bielorussia e Slovacchia. In  un comunicato reso noto al termine dell’incontro, i vescovi affermano che stanno pregando affinché il prossimo Sinodo dei vescovi porti una nuova luce per la cura pastorale delle famiglie. “Esprimiamo la nostra sincera gratitudine a tutte le famiglie fedeli, nelle quali i valori evangelici sono onestamente vissuti e trasmessi alle future generazioni. Questo è indispensabile – scrivono i presuli - perché se distruggiamo la famiglia, la società stessa verrà distrutta. Ci auguriamo perciò che la Chiesa cattolica diventi per tutti una vera casa paterna, dove anche ogni peccatore che si pente possa trovare la grazia di Dio”.
Le sfide per la famiglia segnata da comunismo e secolarizzazione
“Siamo consapevoli – affermano i vescovi dell’Europa centro-orientale -  che sotto il forte influsso della secolarizzazione, il matrimonio e la famiglia stanno affrontando varie sfide, risultanti dai grandi cambiamenti culturali e sociali, avvenuti soprattutto negli ultimi decenni. Possiamo constatare che nei nostri Paesi dolorosamente segnati dal comunismo, ci sono numerose famiglie con un unico genitore, tanti bambini nati fuori del vincolo matrimoniale, un numero elevato di cattolici divorziati. Sempre più numerose sono le coppie che vivono insieme senza matrimonio né canonico né civile”.
Formazione permanente per coppie e famiglie
​“Sentiamo la forza dell'insegnamento di Cristo che ci ha rivelato la piena verità sull'uomo secondo il disegno del Creatore. La proposta formata durante il nostro incontro a Bratislava – osservano - suggerisce la formazione sistematica delle coppie e delle famiglie, non soltanto nel periodo precedente al matrimonio, ma anche per tutta la vita, sia con l'aiuto dei sacerdoti sia con quello dei movimenti familiari e le famiglie cristiane mature”. Infine i presuli si augurano  che l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia - e specialmente il contributo di san Giovanni Paolo II a questo tema - diventi sempre più conosciuto ed accettato. (R.P.)

da | Radio Vaticana

venerdì 8 maggio 2015

Amore


 


di Francesco Pesce

L’amore è l’esperienza centrale della nostra vita: come scriveva Giovanni Paolo II, «l’uomo non può vivere senza amore». Fin da piccoli, impariamo a parlare se siamo amati; da giovani siamo coinvolti e appassionati dall’amore; come padri e madri avvertiamo l’esigenza di crescere nell’amore dell’altro, uscendo dalla centratura in noi stessi; da anziani o malati, l’amore sarà la condizione per trasformare il limite della vita.
Sebbene l’amore sia lo scopo e la ragione di molte nostre decisioni, facciamo fatica a parlarne in pubblico, tanto che a volte ci sentiamo ridicoli nel portarlo come motivazione delle nostre scelte: non ne parliamo in banca, al lavoro, a scuola. Spesso, dire “l’ho fatto per amore” ci sembra troppo poco, non sufficiente a supportare una nostra decisione. E così, nonostante sappiamo che con esso ne va del senso della nostra vita, un po’ alla volta rischia di diventare sempre più un fatto privato: “l’amore è una cosa mia, tu non puoi capirlo”.
Questo accade anche perché tutti parliamo di amore, eppure è così difficile definirne il significato. Per alcuni, esso è il sentimento che si prova verso un’altra persona, carico di emozioni; talmente fatto di emozione e passione che, finite queste, sembra finire anche l’amore. Per altri c’è amore solo quando si è capaci di dono totalmente gratuito di se stessi, libero da qualsiasi desiderio, considerato un’eventuale macchia dell’amore.
Benedetto XVI ci ha insegnato che amore erotico e amore di dono, «eros e agape — amore ascendente e amore discendente — non si lasciano mai separare completamente l’uno dall’altro». Anzi, «quanto più ambedue, pur in dimensioni diverse, trovano la giusta unità nell’unica realtà dell’amore, tanto più si realizza la vera natura dell’amore in genere». L’amore erotico apre alla relazione con l’altro, spinge all’incontro, ma è solo il dono di sé che realizza quel desiderio di unione con l’altra persona. Non c’è l’uno senza l’altro.
Allora, che cos’è l’amore? L’amore nasce in modo imprevedibile, ma si fa strada un po’ alla volta nella vita dell’uomo, a mano a mano che questi lo fa crescere aderendovi con le proprie scelte, fino al dono di sé. Per questo, l’amore è unità tra la scoperta di essere preceduti e amati e lo slancio ad amare a propria volta, a giocarsi in prima persona, a decidersi di donarsi. Costruirsi donandosi, non solo a parole o con le idee, ma con azioni e gesti appassionati, carichi di se stessi, di slancio verso l’altro, di passione per l’altro e il suo bene. E l’amore tra tra uomo e donna ne è l’emblema: talmente bello da motivare una scelta per sempre, talmente potente da essere fecondo, capace di far nascere un’altra vita, imprevedibilmente unica, amata e che amerà a sua volta.
Immersi in tale esperienza dell’amore, così grande ma nello stesso tempo fragile, uomo e donna possono fare l’esperienza che le loro forze non sono sufficienti per garantire la crescita dell’amore. Dove porre la fiducia che l’amore non si esaurirà?
Sebbene l’amore umano possa fallire, essere ferito, tradito, dimenticato, è stato scelto dal Dio cristiano per raccontare di sé: non l’essere, non le idee, non i concetti, ma l’esperienza dell’amore umano tra un uomo e una donna è in grado di rinviare all’amore del Dio di Gesù Cristo per l’umanità. Tanto da diventarne un tutt’uno.
Amati dall’amore, ci scopriamo amabili e capaci di pienezza solo amando.

da | firenze2015

Eternità


 


di Carlo De Marchi

Fin da piccoli si impara che la vita eterna è la meta di un cristiano. Nel contempo ci sfugge cosa sia l’eternità. “La fila all’ufficio postale è durata un’eternità”, un dilemma è “eterno”… Anche quando parliamo di “Città eterna” questo apprezzamento magari fa riferimento soprattutto alle lentezze del traffico o ai problemi di parcheggio… All’eternità si associa spesso un’idea di tempo prolungato, ripetitivo, noioso.
Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna? La domanda che un giovane rivolge a Gesù correndogli incontro non riguarda solo la vita dopo la morte: è la domanda esistenziale sul senso della vita: come vivere una vita vera, bella, una vita che non finisca in una bolla di sapone?
Gesù è venuto proprio per rivelarci che questa vita piena di senso è possibile, è a portata di mano per ogni persona qui e ora: Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto ma abbia la vita eterna.
Chesterton dice che “l’eternità è la vigilia di qualcosa”. Come l’attesa e nel contempo la sorpresa di un incontro. Non è “un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità dell’essere, della verità, dell’amore” (Benedetto XVI).
Cosa resiste al passare del tempo nella vita di una persona? L’amore, l’apertura di cuore con la quale faccio spazio a un’altra persona, il tempo donato a chi amo. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Quanto più generoso è il dono e quanto più numerose sono le persone alle quali mi dono, tanto più eterna e bella è la mia vita.
Dio non è semplicemente “prima” o “dopo” il nostro tempo: l’Eterno è entrato nel tempo, si è incarnato per stare accanto a noi ora. “La vita eterna è presente al centro del tempo, là dove ci riesce di stare faccia a faccia con Dio” (Ratzinger). Ogni tentativo di preghiera ha in sé qualcosa di definitivo, di risolutivo per la nostra esistenza: Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo.
Esiste un momento dove chiunque può essere certo di trovarsi faccia a faccia con Dio qui e adesso. È la liturgia, che parla sempre di eternità: celebriamo una “nuova ed eterna alleanza”, riceviamo e offriamo il “pane santo della vita eterna e calice dell’eterna salvezza”. Dio, dal suo oggi eterno, entra nella mia giornata concreta, vuole condividere i miei andirivieni, compreso il tempo che perdo nel traffico o a cercare parcheggio.
Gesù vuole prendersi cura di ogni istante della mia vita, per custodirlo: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno.

Don Carlo De Marchi è vicario dell’Opus Dei per l’Italia Centro-Sud.

da | firenze2015

giovedì 7 maggio 2015

Domenica 10 maggio il Vescovo Beniamino ordina 13 nuovi diaconi per la chiesa vicentina



Domenica 10 maggio alle 16 in Cattedrale il vescovo mons. Beniamino Pizziol ordinerà 13 nuovi diaconi per la chiesa vicentina: otto sono giovani studenti del Seminario diocesano che ricevono il diaconato in vista di una futura ordinazione sacerdotale, mentre gli altri cinque sono diaconi permanenti.

Diakonia è la parola greca che definisce la funzione dei diaconi. Significa servizio, ed è di tale importanza per la Chiesa che viene conferita con un atto sacramentale definito “ordinazione”.

Ma qual è il servizio che i diaconi prestano alla Chiesa? Il Catechismo della Chiesa Cattolica dice: “I diaconi partecipano, in una maniera particolare, alla missione e alla grazia di Cristo. Il sacramento dell'Ordine imprime in loro un sigillo che nulla può cancellare e che li configura a Cristo, il quale si è fatto 'diacono', cioè servo di tutti. Compete: assistere il Vescovo e i presbiteri, assistere e benedire il Matrimonio e il battesimo, proclamare il Vangelo e predicare, presiedere ai funerali e dedicarsi ai vari servizi della carità”.

Inteso in questo modo, il diaconato offre alla Chiesa la possibilità di contare su una persona per i compiti pastorali e ministeriali, è un arricchimento importante per la sua missione e per la vita delle comunità parrocchiali. Mentre i sacerdoti ordinati della Chiesa latina sono uomini credenti che vivono celibi e hanno il proposito di mantenere il celibato per il Regno dei Cieli, i diaconi “permanenti” possono essere sposati, ma qualora fossero celibi al momento dell’ordinazione sono chiamati a rimanere tali anche in seguito.

Gli ordinandi diaconi del Seminario Vescovile (che potete vedere nella foto) sono Carlo Sandonà di San Pietro in Gu, Christian Corradin di Poleo, Enrico Destrini di Almisano, Enrico Posenato di Villabalzana, Manuel Loreni di Fimon, Marco Ferrari di Colzè, Michele Giuriato di Gambugliano, e Roberto Viero di S. Carlo in Vicenza.

Spiega Manuel Loreni: “Alla base di questa scelta c’è semplicemente quel desiderio di ogni uomo e donna, di “conseguire la salvezza”; una vita bella, che realizzi in pienezza il nostro battesimo. La vita di chi come te, come me, si mette alla sequela della croce di Cristo nella semplicità di ogni giorno, anche senza sapere bene che cosa stia cercando…. Se chiedessi a ciascuno dei miei compagni che cosa significa per loro essere ordinati diaconi, credo che potrebbero andare avanti per ore a parole e racconti, esperienze e sogni … ma nonostante questo, non finirei di stupirmi del silenzio che avvolge questa risposta. Un silenzio che racchiude in sé un tempo di duro discernimento, fatto di lacrime e conquiste, di desideri e delusioni; un tempo di notti insonni, per cercare di capire se davvero è questo ciò che la Chiesa ci sta chiedendo e se siamo pronti ad assumere un mistero così grande e definitivo; un tempo fatto di giornate affollate di impegni, mai stanchi di essere disponibili, come della quiete dolce di un caffè, nella cucina della canonica, passato condividendo con chi suona il campanello, semplicemente, la vita. E ancora, trascorsi ormai sei anni di formazione, torno a chiedermi che cosa spinge otto giovani ragazzi, ed altri cinque padri di famiglia, ad assumere la veste del servo. Sì, perché il diacono, senza nessun romanticismo, è un servo. Un misero schiavo, ai piedi della sua comunità, e attraverso essa, ai piedi del suo unico Signore. Piedi talvolta sporchi, feriti, maleodoranti, o al contrario perfino troppo curati, vuoti della loro sterile perfezione. Piedi che chiedono di essere guardati senza giudizio, accolti, lavati e baciati”.

Il 10 maggio insieme agli otto giovani del seminario saranno ordinati anche cinque uomini adulti, di cui quattro coniugati.
Il loro sarà un servizio di diaconato permanente a servizio di una comunità cristiana della diocesi:

Gianfranco Avataneo, 46 anni, sposato con Cristina e padre di tre figli, impegnato nell’ UP Veronella-Zimella nell’ambito Caritas.
Pio Claudio Dalla Valeria, 57 anni, sposato con Donatella, ha una figlia e un nipote, presta servizio nella comunità di san Paolo di Alte di Montecchio Maggiore.
Giuseppe Marcheluzzo, 50 anni, opera nella comunità di sant’Andrea di Cologna Veneta, dove si occupa di Acr; dei cinque candidati è l’unico celibe.
Francesco Stropparo, 57 anni, sposato con Emanuela, ha due figli e due nipoti, presta servizio nella unità pastorale di Cresole e Rettorgole in ambito Caritas.
Valter Zantedeschi, 60 anni, sposato con Luisa, ha tre figlie e due nipoti; è impegnato nella parrocchia di sant’Ulderico di Creazzo ed è campanaro.

In formazione dal 2008, sostenuti e guidati da don Gianni Trabacchin e dai diaconi Antonio Castagna e Bruno Angelo Fontana con la moglie Anna Maria, hanno camminato insieme nel discernimento di una vita al servizio di Cristo e della sua Chiesa.

La scelta, maturata negli ambienti familiari e di vita quotidiana, ha richiesto un ciclo di studi serali di teologia. Il percorso, attraverso incontri, ritiri spirituali, gite, momenti di riflessione e conviviali, colloqui con il Vescovo, ingresso nella comunità diaconale, li ha aiutati a crescere e a discernere ancora meglio la vocazione al servizio e la figura del diacono che si radica nella scelta sacramentale di Cristo servo per Amore.

“La missione, che ci è affidata da Gesù – dicono gli ordinandi diaconi - è riportata da Marco nel suo vangelo quando Gesù, salendo su una “piccola barca”, lascia i discepoli in mezzo alla folla. I suoi discepoli devono restare nella mischia. Il discepolo è tale in mezzo al suo popolo; luogo della sua missione: la vita della gente. Ci viene chiesto di abitare soprattutto in mezzo a coloro che non vivono la chiesa, occorre, perciò, sviluppare questo gusto spirituale fino al punto di scoprire che tutto ciò diventa fonte di gioia, andare nelle periferie tanto amate da papa Francesco con misericordia e carità”.

Alessio Graziani
Le testimonianze sono riprese dal sito del Seminario Vescovile

Da | Diocesi di Vicenza

La via dell’annunciare

Scheda 4
In ascolto del Vangelo
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!» (Mc 1,35-38).
Per approfondire
“Come il Padre ha mandato il Figlio, così questi ha mandato gli apostoli (cf. Gv 20,21) dicendo: «Andate e fate mie discepole tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto quanto vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi fino alla fine del mondo» (Mt 28, 19-20). Questo solenne comando di Cristo di annunciare la verità della salvezza, la chiesa l’ha ricevuto dagli apostoli e deve adempierlo fino agli ultimi confini della terra (cf. At 1,8). Fa quindi sue le parole dell’apostolo: «Guai…a me se non avrò predicato il Vangelo!” (1 Cor 9,16). Perciò continua a mandare senza sosta araldi del Vangelo, fin quando non siano pienamente costituite le nuove chiese, e queste non siano in condizione di continuare a loro volta l’opera dell’evangelizzazione. Lo Spirito Santo sospinge la chiesa a cooperare per la piena realizzazione del disegno di Dio, il quale ha costituito Cristo principio di salvezza per il mondo intero” (Concilio Vaticano II, Lumen gentium, n. 17).
“La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più. Però che amore è quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di presentarla, di farla conoscere? Se non proviamo l’intenso desiderio di comunicarlo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci. Abbiamo bisogno d’implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale” (Papa Francesco, Evangelii gaudium, n. 264).
“La gente ha bisogno di parole e gesti che, partendo da noi, indirizzino lo sguardo e i desideri a Dio. La fede genera una testimonianza annunciata non meno di una testimonianza vissuta. Con il suo personale tratto papa Francesco mostra la forza e l’agilità di questa forma e di questo stile testimoniali: quante immagini e metafore provenienti dal Vangelo egli riesce a comunicare, soddisfacendo la ricerca di senso, accendendo la riflessione e l’autocritica che apre alla conversione, animando una denuncia che non produce violenza ma permette di comprendere la verità delle cose.
Le nostre Chiese sono impegnate da decenni in un processo di riforma dei percorsi di iniziazione e di educazione alla fede cristiana. Il Convegno di Firenze è il luogo in cui verificare quanto abbiamo rinnovato l’annuncio – con forme di nuova evangelizzazione e di primo annuncio; come abbiamo articolato la proposta della fede in un contesto pluriculturale e plurireligioso come l’attuale. Occorrono intuizioni ed idee per prendere la parola in una cultura mediatica e digitale che spesso diviene tanto autoreferenziale da svuotare di senso anche le parole più dense di significato come lo stesso termine «Dio»” (In Gesù Cristo il nuovo umanesimo. Una traccia per il cammino verso il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale).
La vita della chiesa è animata da un grande desiderio: fare in modo che nel cuore di ogni persona possa risuonare l’annuncio liberante e sanante del Vangelo: la vita umana, nonostante le sue tragiche debolezze e fragilità, ha come suo fondamento e compimento l’amore di Dio e che la morte non avrà l’ultima parola. Proprio perché è mossa da questo desiderio, la comunità ecclesiale percorre, da sempre, la strada dell’annunciare; questa strada chiede di essere percorsa oggi con rinnovato entusiasmo e con la disponibilità di innovare modi e percorsi perché ogni uomo, nella particolarità della sua cultura e della sua situazione di vita, possa essere interpellato dalla parola buona del Signore.
Come ci ricordano i vescovi italiani negli Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia: “radicata nell’esperienza cristiana, l’esigenza di rendere ragione della propria fede ha assunto negli ultimi decenni i tratti decisivi: la cultura odierna ci provoca continuamente a ‘dire le ragioni’ della nostra fede” (Conferenza Episcopale Italiana, Incontriamo Gesù, n. 13). Ciò comporta un supplemento di discernimento, per comprendere il tempo presente; di intelligenza per capire quali modalità di comunicazione e di formazione è bene mantenere e quali forme nuove costruire; di energia e fiducia, per camminare e seminare senza l’ansia dei risultati immediati e nella consapevolezza che lo Spirito è all’opera; di fedeltà allo stile evangelico. In Gesù infatti ‘la buona notizia’, la presenza del ‘regno’ sono espresse, come ci ricorda la giornata di Cafarnao, con gesti di vicinanza, guarigione liberazione; e sono raccontate e descritte con parole che richiamano la dedizione, la cura, la misericordia.
Per percorrere la strada dell’annuncio, però, abbiamo bisogno di sentirci sempre interpellati in prima persona dal Vangelo. Una comunità cristiana cresce nella sua capacità di evangelizzazione nella misura in cui vive il discepolato; sapremo essere annunciatori della misericordia del Signore, se continueremo innanzitutto a lasciare aperto il nostro cuore ad essa. 
Per confrontarsi e progettare
• La nostra realtà ecclesiale è animata dal desiderio di condividere il ‘tesoro’ della Parola buona che ha ricevuto? Di promuovere in ogni persona l’incontro con Gesù?
• La nostra comunità sa ‘mostrare’ nei suoi gesti, nelle sue parole, nei suoi riti, nelle sue istituzioni, la dedizione amorevole del Signore verso tutti gli uomini?
• Vi è in atto nella nostra realtà ecclesiale una revisione costruttiva delle forme di annuncio e di catechesi in riferimento alle diverse età e condizioni di vita?
• Sappiamo esprimere, con umiltà ma anche con fermezza, la nostra fede nello «spazio pubblico», senza arroganza, ma anche senza paure e falsi pudori?
• Il nostro annuncio del Vangelo si traduce in un’attenzione profonda verso i poveri, gli esclusi, coloro che abitano le periferie esistenziali?
In preghiera
Vergine e Madre Maria,
tu che mossa dallo Spirito,
hai accolto il Verbo della vita,
nella profondità della tua umile fede,
totalmente donata all’Eterno,
aiutaci a dire il nostro «sì»
nell’urgenza, più che imperiosa che mai,
di far risuonare la Buona Notizia di Gesù
(Papa Francesco)


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