giovedì 27 marzo 2014

Prepensionamenti e 416 ter: pura follia


di Arturo Diaconale

Se è vero che uno dei sintomi della follia è dato dal fatto che chi ne è affetto non ne è minimamente consapevole, bisogna necessariamente concludere che il nostro è un Paese provvisto di una classe dirigente formata da autentici pazzi. Due sono gli esempi che sembrano confermare una diagnosi così inquietante.

Il primo è stato offerto dalla neoministra per la Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, con l’annuncio che il Governo si accinge a presentare un provvedimento teso a risolvere con i prepensionamenti un doppio ordine di problemi. Sia quello degli 85mila dipendenti pubblici in eccesso sollevato dal commissario Cottarelli, sia quello dell’altissima disoccupazione giovanile ormai arrivata a livelli insopportabili.

Sulla carta sembra l’uovo di Colombo. Basta prepensionare 85mila dipendenti pubblici arrivati per questioni d’età ad avere alte retribuzioni e sostituirli con 20mila giovani per realizzare un congruo risparmio e ridurre, sia pure di poco, il tasso di disoccupazione. Nella realtà, però, la faccenda non è così normale e tranquilla come potrebbe sembrare. Perché per anni si è sostenuto che il problema delle troppe spese dello Stato era rappresentato dall’altissima spesa pensionistica. E per almeno due decenni è stato perseguito l’obiettivo di ridurre il costo delle pensioni allungando la fase lavorativa della vita.

Siamo ora all’inversione di rotta rispetto a questa linea ventennale? Tutto può essere. Anche se appare decisamente inusuale che questa inversione rispetto ad una tendenza che va avanti fin dai tempi della riforma Dini del 1995 possa essere stata elaborata nell’arco di un solo mese dal ministro Madia e dai suoi tecnici. Si è trattato solo di una “chiacchiera”, allora, come ha sentenziato il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni? Anche in questo caso, tutto può essere. Anche se non si potrebbe definire chiacchiera un atto di evidente schizofrenia. Il secondo esempio è offerto dal cosiddetto 416 ter del Codice Penale, cioè dalla legge in discussione in Parlamento che ridefinisce la fattispecie del voto di scambio e stabilisce che chiunque “accetta il procacciamento di voti” in cambio “di denaro o altra utilità” è punito con la reclusione da quattro a dieci anni.

Anche in questo caso, sulla carta nulla da dire. In linea di principio è sacrosanto che sia punito chi compera voti con il denaro o con altri vantaggi per i suoi elettori. Ma nel concreto anche questa faccenda cambia. Perché gran parte di chi vuole il 416 ter è formato da parlamentari che si battono per il ritorno alle preferenze. E perché, se mai si dovesse intrecciare il ritorno al sistema delle preferenze con l’aggravamento della fattispecie del voto di scambio, il Parlamento diventerebbe automaticamente il regno degli indagati. Con tutte le conseguenze che un evento del genere ha già fatto registrare in passato.

Non bisogna essere garantisti accaniti ma solo osservatori realisti nel rilevare, infatti, che mettendo insieme preferenze, 416 ter, obbligatorietà dell’azione penale e pentitismo, neppure il più specchiato degli uomini politici, soprattutto delle regioni meridionali (ma molte vicende lombarde indicano che anche al Nord le preferenze potrebbero essere il frutto del voto di scambio con mafia e ‘ndrangheta), sarebbe destinato a finire nel tritacarne mediatico-giudiziario. Magari per uscirne assolto dopo qualche anno d’indagine ed un eventuale processo, ma rimanendo nel frattempo delegittimato e paralizzato come rappresentante del potere legislativo.

Anche in questo caso la schizofrenia è evidente. Anche se per molti si dovrebbe parlare di ipocrisia e di paura di esporsi al fuoco dei giustizialisti più forsennati che di semplice malattia mentale. Ma il risultato è comunque lo stesso. Matti o ipocriti che siano creano le condizioni per mandare il Paese allo sfascio!

Fonte: L'Opinione

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