venerdì 22 maggio 2015

Un'alleanza stabile e generativa

Papa Francesco nella catechesi del mercoledì: “Ridare onore al matrimonio e alla famiglia”
Quando Dio lo creò, all’uomo “mancava qualcosa per arrivare alla sua pienezza, gli mancava reciprocità. La donna non è una ‘replica’ dell’uomo; viene direttamente dal gesto creatore di Dio. L’immagine della ‘costola’ non esprime affatto inferiorità o subordinazione ma, al contrario, che uomo e donna sono della stessa sostanza e sono complementari, anche hanno questa reciprocità”. L’ha detto Papa Francesco ieri mattina, nell’udienza del mercoledì, proseguendo la catechesi sulla famiglia sul tema “Maschio e femmina li creò”, tratto dalla Genesi.
Con il peccato, che “genera diffidenza e divisione fra l’uomo e la donna”, il loro rapporto “verrà insidiato da mille forme di prevaricazione e di assoggettamento, di seduzione ingannevole e di prepotenza umiliante, fino a quelle più drammatiche e violente. La storia ne porta le tracce. Pensiamo, ad esempio, agli eccessi negativi delle culture patriarcali. Pensiamo alle molteplici forme di maschilismo dove la donna era considerata di seconda classe. Pensiamo – ha proseguito il Papa – alla strumentalizzazione e mercificazione del corpo femminile nell’attuale cultura mediatica. Ma pensiamo anche alla recente epidemia di sfiducia, di scetticismo, e persino di ostilità che si diffonde nella nostra cultura – in particolare a partire da una comprensibile diffidenza delle donne – riguardo ad un’alleanza fra uomo e donna che sia capace, al tempo stesso, di affinare l’intimità della comunione e di custodire la dignità della differenza”.
Così, la “svalutazione sociale per l’alleanza stabile e generativa dell’uomo e della donna è certamente una perdita per tutti. Dobbiamo riportare in onore il matrimonio e la famiglia! E la Bibbia dice una cosa bella: l’uomo trova la donna, si incontrano… e l’uomo deve lasciare qualcosa per trovarla pienamente. E per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre per andare da lei. È bello! Questo significa incominciare una strada. L’uomo è tutto per la donna e la donna è tutta per l’uomo”.
“La custodia di questa alleanza dell’uomo e della donna, anche se peccatori e feriti, confusi e umiliati, sfiduciati e incerti, è – ha concluso il Papa – per noi credenti una vocazione impegnativa e appassionante, nella condizione odierna”.
da | familia.org

Capolavoro della società

L’udienza del Papa sul matrimonio, “legame tra uomo e donna benedetto da Dio fin dalla creazione”

Ha richiamato le nozze di Cana e “il libro della Genesi, quando Dio finisce l’opera della creazione e fa il suo capolavoro”. Il capolavoro, ha sottolineato, “è l’uomo e la donna. E qui Gesù incomincia proprio i suoi miracoli con questo capolavoro, in un matrimonio, in una festa di nozze: un uomo e una donna. Così Gesù ci insegna che il capolavoro della società è la famiglia: l’uomo e la donna che si amano! Questo è il capolavoro!”. Sono, queste, le parole pronunciate da Papa Francesco stamattina in Piazza San Pietro durante l’udienza dedicata al disegno originario di Dio sulla coppia uomo-donna.
Dai tempi di Cana, dove Gesù “non solo partecipò a quel matrimonio, ma ‘salvò la festa’ con un miracolo del vino”, ha proseguito Francesco, “tante cose sono cambiate, ma quel ‘segno’ di Cristo contiene un messaggio sempre valido”. Eppure oggi “i giovani non vogliono sposarsi, in molti Paesi aumenta il numero delle separazioni, mentre diminuisce il numero dei figli”. Che, poi, delle separazioni sono le prime vittime: “Se sperimenti fin da piccolo che il matrimonio è un legame ‘a tempo determinato’, inconsciamente per te sarà così. […] C’è questa cultura del provvisorio… tutto è provvisorio, sembra che non c’è qualcosa di definitivo”.
Secondo il Papa non ci si sposa “solo per difficoltà di carattere economico, sebbene queste siano davvero serie”, e nemmeno per il cambiamento avvenuto in questi ultimi decenni “messo in moto dall’emancipazione della donna”. “In realtà – ha evidenziato – quasi tutti gli uomini e le donne vorrebbero una sicurezza affettiva stabile, un matrimonio solido e una famiglia felice”, ma “forse la paura di fallire è il più grande ostacolo ad accogliere la parola di Cristo, che promette la sua grazia all’unione coniugale e alla famiglia”.
Eppure, la “testimonianza più persuasiva della benedizione del matrimonio cristiano – ha detto – è la vita buona degli sposi cristiani e della famiglia. Non c’è modo migliore per dire la bellezza del sacramento! Il matrimonio consacrato da Dio custodisce quel legame tra l’uomo e la donna che Dio ha benedetto fin dalla creazione del mondo; ed è fonte di pace e di bene per l’intera vita coniugale e familiare. […] Il seme cristiano della radicale uguaglianza tra i coniugi deve oggi portare nuovi frutti. La testimonianza della dignità sociale del matrimonio diventerà persuasiva proprio per questa via, la via della testimonianza che attrae, la via della reciprocità fra loro, della complementarietà fra loro”. I cristiani, ha aggiunto il Papa rivolgendosi infine ai pellegrini italiani presenti in piazza, “quando si sposano ‘nel Signore’, vengono trasformati in un segno efficace dell’amore di Dio. I cristiani non si sposano solo per sé stessi: si sposano nel Signore in favore di tutta la comunità, dell’intera società”.
da | familia.org

giovedì 21 maggio 2015

Quelle parole indispensabili (familia.org)

Nella catechesi Papa Francesco torna sul valore di “permesso”, “scusa” e grazie” per una vita “felice e salda”
L’aveva già detto ai fidanzati, nell’incontro del 14 febbraio dell’anno scorso, ma ieri, nella sua udienza del mercoledì in piazza San Pietro, Papa Francesco l’ha ribadito: “permesso”, “scusa” e “grazie” sono “nella vita di coppia e di famiglia”, “le parole indispensabili a una vita felice e salda, dove amore reciproco e rispetto hanno la meglio sugli atteggiamenti che minano il rapporto”. Con queste tre parole, “cartina al tornasole” per capire se le fondamenta di una casa sono di roccia o sabbia, il Papa ha impostato la catechesi con la quale, spiega, intende iniziare “una serie di riflessioni sulla vita in famiglia”.
Per prima cosa Francesco ha riflettuto sulla buona educazione, che può essere “mezza santità”, come diceva Francesco di Sales, oppure, ha affermato, “maschera che nasconde l’aridità dell’animo e il disinteresse per l’altro”, in una parola “cattive abitudini”: “Il diavolo che tenta Gesù sfoggia buone maniere - ma è proprio un signore, un cavaliere - e cita le Sacre Scritture, sembra un teologo. Il suo stile appare corretto, ma il suo intento è quello di sviare dalla verità dell’amore di Dio. Noi invece intendiamo la buona educazione nei suoi termini autentici, dove lo stile dei buoni rapporti è saldamente radicato nell’amore del bene e nel rispetto dell’altro. La famiglia vive di questa finezza del voler bene”.
Poi Francesco si è soffermato sul peso che le tre parole hanno sulla vita di coppia e di famiglia: “Dire ‘permesso’, cioè ‘chiedere gentilmente anche quello che magari pensiamo di poter pretendere’, fa in modo che vi sia un ‘vero presidio per lo spirito della convivenza matrimoniale e famigliare”: “Entrare nella vita dell’altro, anche quando fa parte della nostra vita, chiede la delicatezza di un atteggiamento non invasivo, che rinnova la fiducia e il rispetto. La confidenza, insomma, non autorizza a dare tutto per scontato”. Quanto al “grazie”, Francesco ha sottolineato come la nostra stia diventando una “civiltà delle cattive maniere e delle cattive parole”, dove chi ringrazia, guardato con “diffidenza”, sembra addirittura debole.
“Dobbiamo – ha auspicato – diventare intransigenti sull’educazione alla gratitudine, alla riconoscenza: la dignità della persona e la giustizia sociale passano entrambe di qui. Se la vita famigliare trascura questo stile, anche la vita sociale lo perderà. La gratitudine, poi, per un credente, è nel cuore stesso della fede: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio”.
Infine, “scusa”: senza, si allargano le “piccole crepe” che esistono in un rapporto, facendole diventare “fossati profondi”. Eppure “riconoscere di aver mancato, ed essere desiderosi di restituire ciò che si è tolto – rispetto, sincerità, amore – rende degni del perdono. E così si ferma l’infezione”, ma “se non siamo capaci di scusarci, vuol dire che neppure siamo capaci di perdonare”. Ancora, il Papa ha raccomandato di “non finire mai la giornata senza fare la pace in famiglia”. Non occorre “mettersi in ginocchio”, basta “un piccolo gesto, una cosina così”. E, ha concluso, “con questo la vita sarà più bella”.

Leggi la catechesi
da | familiam.org

Ci vuole coraggio (familia.org)

Papa Francesco in udienza sulla bellezza del matrimonio cristiano: "Amare come Cristo ama la Chiesa"

Non solo “fiori, abito e foto”, ma molto di più. Queste le nozze secondo Papa Francesco, che nella sua udienza di oggi in piazza san Pietro ha parlato della bellezza del matrimonio cristiano. L'amore tra i coniugi, ha detto riprendendo San Paolo, "è immagine dell’amore tra Cristo e la Chiesa”. “Una dignità impensabile”, commenta il Papa che aggiunge come questa analogia per quanto “imperfetta” abbia un “senso spirituale” “altissimo e rivoluzionario”, ma al tempo stesso “alla portata di ogni uomo e donna che si affidano alla grazia di Dio”. Rivolgendosi ai mariti presenti in piazza, Francesco ha ricordato che, come si legge nella Lettera agli Efesini, devono amare la moglie “come il proprio corpo”, e che il sacramento del matrimonio è “un grande atto di fede e di amore”. La Chiesa stessa, ha aggiunto, “è pienamente coinvolta nella storia di ogni matrimonio cristiano: si edifica nelle sue riuscite e patisce nei suoi fallimenti”. Pertanto “la decisione di sposarsi nel Signore – ha proseguito – contiene anche una dimensione missionaria”, “infatti gli sposi cristiani partecipano in quanto sposi alla missione della Chiesa”. “E ci vuole coraggio per questo, eh! Per questo quando io saluto i novelli sposi, dico: ‘Ecco i coraggiosi!’, perché ci vuole coraggio per amarsi così come Cristo ama la Chiesa. La celebrazione del sacramento - ha sottolineato - non può lasciar fuori questa corresponsabilità della vita familiare nei confronti della grande missione di amore della Chiesa. E così la vita della Chiesa si arricchisce ogni volta della bellezza di questa alleanza sponsale, come pure si impoverisce ogni volta che essa viene sfigurata”.
da | familia.org

martedì 19 maggio 2015

Sì alla famiglia lancia un Testo unico sui diritti dei conviventi


Sì alla famiglia lancia un Testo unico sui diritti dei conviventi
Sì alla famiglia ha presentato a Roma in una riunione con parlamentari di diversi partiti, e propone con un comunicato del 16 gennaio, un testo unico sui diritti dei conviventi. Il testo elenca e ribadisce quanto l’ordinamento italiano già prevede, esplicitamente o implicitamente, per le persone impegnate in convivenze. Tra questi l’assistenza del partner in ospedale e in carcere e la successione nei contratti di locazione. Il testo ribadisce che il partner di fatto ha titolo, a determinate condizioni, al risarcimento del danno subito dall’altro partner e all’indennizzo che spetta al partner vittima di delitti di mafia o di terrorismo. Tutto questo per le convivenze tra persone sia di sesso diverso, sia dello stesso sesso.

Lo scopo è quello di distinguere con estrema chiarezza il cosiddetto “matrimonio” omosessuale, con la conseguente possibilità di adottare figli, cui siamo assolutamente contrari anche qualora lo si nasconda pudicamente sotto il nome di “unioni civili”, dal riconoscimento dei diritti e doveri che derivano dalle convivenze. Per questo, a differenza di quanto fa il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili, non parliamo di unioni civili – una sigla che in tutta Europa significa qualcosa di analogo in tutto al matrimonio tranne che nel nome – e non prevediamo né l’adozione né la riserva di legittima per la successione né la reversibilità delle pensioni, che sono cose tipiche dei matrimoni o almeno di simil-matrimoni. Sì alla Famiglia ricorda che non sono oppositori del disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili o delle proposte annunciate da Renzi a sostenere che le unioni civili sono matrimoni sotto altro nome. Lo ha affermato in un’intervista a «Repubblica» del 16 ottobre 2014 lo stesso sottosegretario Scalfarotto, dichiarando che «l’unione civile non è un matrimonio più basso, ma la stessa cosa. Con un altro nome per una questione di realpolitik». E se anche si costruisse un istituto presentato come “la stessa cosa” del matrimonio senza adozioni, è certo che le adozioni, com’è avvenuto in Germania e in altri Paesi, sarebbero rapidamente introdotte dalla Corte Costituzionale in nome del principio di uguaglianza.

Questo testo, che rende maneggevoli e coordina disposizioni che l’ordinamento italiano già comprende , permetterà ai parlamentari di schierarsi e agli elettori di comprendere le loro posizioni. Chi vuole il “matrimonio” omosessuale, completo di adozioni subito o tra qualche anno, potrà votare le unioni civili della Cirinnà o di Renzi. Chi vuole ribadire che ai conviventi, dello stesso sesso o di sessi diversi, sono riconosciuti i diritti e i doveri relativi alla sanità, alle carceri, alla locazione, ai risarcimenti, ma vuole chiudere la porta al “matrimonio” e alle adozioni, ora ha un testo su cui convergere.

da | santateresaverona.it

Senza la carità “non sarei niente”


 Mother Teresa



Bassetti: “La gioia è il regalo che il cristianesimo ha fatto all’umanità. La carità è il mezzo per vivere, senza ipocrisia, la fede”

di Chiara Santomiero


Vent’anni di ordinazione episcopale con la stessa intatta gioia nel cuore: annunciare il Vangelo e viverlo nel servizio agli ultimi con la consapevolezza che senza la carità, come scrive san Paolo, "io non sarei nulla". E’ il messaggio consegnato al libro “La gioia della carità” (Marcianum Press, 2015) che raccoglie una selezione di interventi, discorsi e omelie svolti dal Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Conferenza episcopale umbra, a partire dal giorno della sua consacrazione episcopale - avvenuta l'8 settembre del 1994 - fino ad oggi. In un perfetto sillogismo, si legge nella introduzione che: “La gioia è il regalo che il cristianesimo ha fatto all’umanità. La carità è il mezzo per vivere, senza ipocrisia, la fede. Essere cristiani senza gioia non è possibile e dalla gioia della carità scaturiscono l’annuncio del Vangelo e lo slancio missionario verso gli ultimi”. Così come un volto di Chiesa: quello che ha disegnato il Concilio Vaticano II.

CHIESA, CASA ACCOGLIENTE PER TUTTI

La Chiesa è il luogo di accoglienza di tutti. Così come le espressioni più evidenti della santità della Chiesa sono caratterizzate dalla dimensione dell’accoglienza – dalla tradizione monastica dell’ospitalità alle innumerevoli congregazioni e “opera” nate nei secoli XVIII-XX per l’accoglienza, il soccorso e l’educazione dei poveri, fino alla figura di Madre Teresa di Calcutta di Calcutta – così anche I fedeli, le parrocchie e le realtà ecclesiali dovrebbero mettere al primo posto l’apertura a ognuno che voglia accostarsi. In particolare, scrive Bassetti, a proposito della “conversione pastorale” come via necessaria alla riforma della Chiesa, “la famiglia cristiana può e deve brillare per la testi-monianza dell’accoglienza a partire dalle occasioni più semplici e immediate che i figli con le loro amicizie offrono”. L’accoglienza e l’ospitalità in famiglia costituiscono, infatti, un pilastro educativo e un anticorpo all’individualismo e sono espressione della maternità della Chiesa. Alle comunità ecclesiali chef anno fatica ad aprirsi ad una vera accoglienza, Bassetti ricorda che accogliere è “più che gesti e azioni”: si tratta di una “attitudine” che implica, “una dinamica di conversione permanente nella sequela di Gesù”.

LA BARCA DI PIETRO E L’ICONA DEL PESCATORE

La Chiesa, tuttavia, non è chiamata a rimanere “ferma” nei suoi confini pur aprendosi all’accoglienza – “non è un castello assediato” -: la barca di Pietro deve “saper mollare gli ormeggi e prendere il largo”, resistendo alle onde e ai venti avversi, per farsi pescatrice di uomini. Con la sicurezza che “al timone della barca c’è sempre Dio”. Qual può essere quindi lo spirito del cristiano che annuncia il Vangelo? Al cardinale di Perugia piace utilizzare l’icona del pescatore, una imagine tratta dalla lettera apostolica Novo Millennio Ineunte di san Giovanni Paolo II: l’icona del pescatore. Il pescatore ha sapienza e rispetto del Creato, ma soprattutto “non sta fermo lungo la riva, non aspetta i pesci che arrivano alla sua barca ormeggiata al pontile, ma si mette in movimento con audacia e mitezza”. Il pescatore è capace di prendere il largo. così come fece Pietro fidandosi di Gesù a gettare le reti al largo. La condizione principale per “prendere il largo” consiste, dunque, spiega Bassetti “nel saper sempre riconoscere con umiltà chi è il Signore della storia e nel saper coltivare un profondo spirito di pre-ghiera alimentato dal quotidiano ascolto della parola di Dio”.

UN PASTORE IN MEZZO AL GREGGE

Secondo Padre Enzo Bianchi, priore del monastero ecumenico di Bose, Gualtiero Bassetti è un vescovo che conosce molto bene la “regola pastorale” respirata nella chiesa fiorentina da cui proviene attraverso l’incontro con figure straordinarie citate nel libro, sia laiche, come il “sindaco santo” La Pira, che religiose, come padre Balducci. I suoi scritti, ha rilevato presentando il libro lo scorso 19 aprile, non sono teologici, perché “la teologia va insegnata nelle università” (Corriere dell’Umbria”. I pastori, invece, stanno in mezzo al loro gregge e il cardinale Bassetti è “uno di questi, figlio del Concilio Vaticano II e in tutti i suoi scritti si colgono le indicazioni conciliari della Chiesa di inizio terzo millennio”. Nello scorrere degli interventi si snoda il filo rosso del concetto evangelico per cui “c’è più gioia nel dare che nel ricevere” e l’arcivescovo di Perugia è consapevole che “nell’essere pastore si prova quella gioia che il Signore dona al pastore stesso”.

Tutti i proventi del libro sono devoluti al Fondo di solidarietà delle Chiese umbre per le famiglie in difficoltà

sources: ALETEIA 
da | Aleteia 

Ercolino, lo scarabocchio di Dio


Happy old man_

 «Faccio del bene e Gesù e Maria sono contenti»
di Antonio Margheriti Mastino

Certe volte la domenica vado in questa parrocchia romana, della quale per ovvie ragioni taceremo il nome: una delle tante che si somigliano. L’edificio è anni ’50. E sono costernato da questo spazio disadorno, dall’arredamento sacro dozzinale, dai microfoni gracchianti e a tutta birra che rompono i timpani propalando prediche logorroiche e sfibranti ma che non quagliano mai: parole parole parole. Che ti rubano il diritto ad ascoltare il silenzio di Dio, mentre avverti il soffio lieve dello Spirito. Mi opprime questo sentore generale di squallore e incuria. Solo mi consola la certezza che quelli lì sono dei buoni preti, nonostante tutto: ci credono. E fanno quel che possono, come possono.

Quando arriva il momento della comunione, tutti si alzano a prenderla, salvo io e qualche altro reietto. E allora mi chiedo: possibile che sia rimasto l’unico peccatore di questo quartiere? Possibile che non ci stanno, solo in questo quartiere, divorziati risposati, donne che abortiscono, gente con odio in corpo, ladri e truffatori d’ogni risma? Solo io son rimasto? E che avrò fatto mai di tanto abominevole! Cose che turbano la mia pace durante la liturgia. E lì ti domandi a che servono ‘sti sinodi quando poi, a prescindere, tutti prendono la comunione, con o senza grazia di Dio.

Mi disse un sacerdote di zona: «Siamo rimasti davvero in pochi e c’è da cominciare tutto daccapo: abbiamo bisogno d’aiuto e a questo dovreste servire voi laici più formati e coscienziosi. Ma oltre a crearci solo problemi, oltre a scambiare l’essere operai nella vigna con il voler “comandare” in sacrestia, oltre questo pure voi avete dimenticato che non di sole parole vive e s’evangelizza l’uomo: lo si fa anche con l’esempio.» L’esempio delle nostre vite, rapportate all’altro: il mondo ha bisogno più che di maestri, di testimoni diceva Paolo VI. Già! Lo dico pure al prete. Ma sempre alle parole stiamo, per quanto edificanti.

Il quale in effetti mi chiede: ma sapete ancora voi laici come si diventa “testimoni”? Testimoni della speranza cristiana. Bah, dico, essendo devoti, pregando con zelo, vivendo coerentemente: non era Benedetto XVI a dire che la Chiesa non è stata mai rinnovata dai disobbedienti ma dai santi? Sì, mi dice, anche, “ci mancherebbe”. Ma non basta. «Questo serve ad essere chiesa dentro la chiesa, ed è fondamentale, è la base.» Ma poi, fuori? Come si può comunicare questo “stato di grazia”?

«La risposta è il povero Ercolino: lui forse non lo sa, ma Ercolino è testimone della speranza che è in noi. Osserviamolo e facciamo come lui». Osservo per giorni Ercolino: è un povero vecchio di origini meridionali, zoppo, con un bastone, piccolo, sdentato, mezzo deforme, miope, con difficoltà a parlare, di pelo rossastro e rosse sono le sue guance e il nasone. Uno scarabocchio di Dio. E un uomo apparentemente solo.

Sembra sia stato già raccontato da Alda Merini, pazza e poetessa, nella descrizione del suo Gesù:

Nessuno si è accorto di lui,
che è passato silenzioso e inerte
in mezzo all’ombra e alla luce (…),
che ha vestito di cenci
e non si è mai curato della propria bellezza.

Ora però Ercolino è anche uomo di chiesa, non c’è messa che si perda, non c’è vangelo che non ascolti memorizzi e interiorizzi, non c’è volta che passando davanti il santo edificio mentre va a fare le sue piccole spese quotidiane (un pezzo di pane, una busta di latte, dei biscotti “calabresi”, un farmaco) non si faccia il segno della croce e mandi “un bacio volante” a quel che la chiesa nello scrigno del suo cuore conserva.

Ercolino è un uomo felice. Non ha niente, la natura gli ha negato tutto, ma è felice. Si accontenta di piccole cose, a orari fissi, al bar: un bicchiere di solo latte tiepido e questo è tutto, non prende altro. Ercolino, soprattutto, sorride sempre; celia, fa battute urbane galanti e gentili a tutte le ragazze e signore che hanno imparato a riconoscerlo; è saturo di un’ironia mite e antica, inoffensiva: piena di passione e compassione per gli esseri umani.

Ma Cristo era felice, era felice delle intemperie, era felice della pietra nuda, era felice della sua stessa parola (…) Guardava le donne come si guardano i fiumi che accompagnano la vela sbatacchiata da tutte le parti e le sentiva amiche essendo donna nel cuore.

Ercolino è povero ma dispensa ricchezza a tutto il quartiere: perché vede tutti, sorride a tutti, a tutti rivolge la parola e una battuta. E sorridendo e scherzando,  rimbrotta anche quando vede qualcosa di storto, ma non si serve di proverbi ché sono sempre così saccenti, usa il Vangelo: «Dice il Signore…» ed è così che a tutti ricorda qual è la fonte della sua gioia così “ingiustificata”; così rende noto il Vangelo, e così nel suo piccolo è apostolo della nuova evangelizzazione: è egli stesso, con tutta la sua persona, infelice fuori e serena dentro, Testimone: testimone della speranza che è in lui. E che lo divora come una candela la fiamma, che dà luce e calore tutt’intorno e dentro.

Ancora la Merini:

E come vorrei diventare anch’io un deserto di semplicità dove crescano sterpi e bisce e cose incolte che io amerò come fratelli perché consumeranno la mia carne. Oh, siano benedetti coloro che consumano le mie vesti così tribolate.

Perché tutti sanno che Ercolino è uomo di Chiesa, ma soprattutto è uomo di Dio: Ercolino è testimone e santo, e non c’è macchia, c’è innocenza in questo “piccolo” di Dio, al quale tante cose grandi sono state in semplicità rivelate. È un uomo che dovrebbe essere infelice e piegarsi su se stesso a commiserarsi ma che invece si stacca da se stesso e guarda i cieli e l’implora ridendo: beh, non c’è evangelizzatore e testimone più potente. La gente che passa, pensa e dice: «Vedi Ercolino: vorrei essere come lui». Perché Ercolino è felice. Felice che Dio c’è. Felice della vita che gli ha dato. Felice persino del suo corpo infelice. Felice della morte che verrà.
 
Nessuno si è accorto
che intorno a lui l’universo
gli faceva infamia
e che era una grande colata
di sudore e amore,
nessuno l’aveva visto.

Allora ho avvicinato Ercolino, e gli ho chiesto: ma perché sei felice della tua vita? «Perché se non fossi nato, non avrei potuto sorridere. A tante creature infelici, dire una parola buona  a chi ne ha bisogno. Perché essendo nato posso godermi anche qui le grazie di Dio. Oggi forse, con tutti quegli esami che fanno alle donne incinte, mi avrebbero abortito, perché, dicono, un figlio come me può solo soffrire. È gente infelice quella che pensa così». Poi mi fissa, e mi sorride, ma ammonendomi: «Dice il Signore: Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo.» Ci strapperà il cuore di pietra ci donerà un cuore di carne. Come ad Ercolino.
Incantato, certe volte, lo vedevo sorridente osservare degli sposi che uscivano dalla chiesa, delle madri con un pargolo in braccio, due fidanzati che si baciavano, e questo lo potevo capire. Non capivo perché però sorridesse anche vedendo un morto uscire dalla chiesa.
Glielo domandai. Scosse la testa, come a dire, “non hai capito niente”. «La gente pensa che pregare sia solo chiudersi in se stessi, in casa o in chiesa con un rosario e  mormorar giaculatorie. Anche questo… », traballante sulle gambe, si tirò fuori bruscamente un rosario dalla tasca e lo baciò con devozione, anzi: passione, e lo ripose, «ma non basta.» Che altro? «Dobbiamo fare di tutta la giornata, della nostra vita una preghiera.» E come? Scosse ancora la testa: «Quando vedi degli sposi uscire dalla chiesa dici una preghiera per loro: che imparino la virtù della pazienza, solo così non divorziano e sono fedeli. Quando vedi un bambino in braccio alla madre, preghi perché i genitori sappiano educarlo con giustizia e amore.

Quando vedo un vecchio come me…» e ride mentre  lo dice «dico una preghiera perché qualcuno gli faccia compagnia; se è un malato grave, ché impari la sopportazione e faccia una santa morte. Se un commerciante ha aperto un negozio, ché possa guadagnare il suo pane quotidiano: tanti commercianti oggi falliscono dopo pochi mesi, ogni settimana uno, due. Appena giri un angolo, mentre cammini, c’è sempre da pregare per qualcuno: ne hanno tanto bisogno!» Bisogna fare della nostra vita tutta una preghiera, di un intero quartiere una chiesa.

Eppure lo inseguivano tutti,
cercavano di toccarlo,
di capirlo,
di sapere quali erano le sue disubbidienze
«Per questo sorrido: faccio del bene e Gesù e Maria sono contenti.» E quando vedi una bara perché sorridi? «Certe volte non sorrido. Ma spesso sì: perché il cuore mi dice che quell’anima è in purgatorio, dunque è salva. E allora sono felice, e sono felice di poterla aiutare con le mie preghiere. E sorrido».

Ercolino, dico, molti santi piangevano. «Sapevano che c’erano tanti uomini che non sorridevano: a causa del loro peccato. Perché non avevano incontrato Cristo Liberatore.» Ossia la speranza cristiana. Che è in Ercolino. E ne fa un testimone vivente.

Quanto mai sono vere in lui le parole di Paolo: «Io vivo, ma non sono più io che vivo, sei tu, Signore, che vivi in me».
da | Aleteia