Idee alternative per nuovi stili nell’annuncio
di Marco Bonatti
L’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia: presentiamo esperienze, idee e percorsi che possono diventare contagio di bene anche in altre realtà «Dobbiamo fare passare il messaggio che le parrocchie non sono ‘isole’ ma che la Chiesa si esprime in modo unitario».
Il
nuovo umanesimo? «Una proposta alternativa allo stile di vita comune ».
Lo spiega in questo colloquio l’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia,
presidente del Comitato preparatorio del quinto Convegno ecclesiale
nazionale che si svolgerà a Firenze dal 9 al 13 novembre e che, secondo
gli obiettivi, prevede modalità di partecipazioni completamente nuove.
Il
Convegno di Firenze sta mobilitando le diocesi, che in questo periodo
danno vita a varie iniziative di riflessione. Come valuta questa fase di
avvicinamento al convegno?
Il
cammino verso Firenze deve diventare ‘cultura’ nel senso più ampio e
autentico del termine: cioè parola che si fa dialogo, scambio, confronto
ad ogni livello. E nel fare cultura c’è già lo stile e il senso del
cammino stesso, l’’umanesimo all’opera’. A me pare, guardando al lavoro
prodotto in questi mesi, che l’annuncio di Gesù Cristo non risulta come
appiccicato alle opere educative o della carità, ma diviene fonte prima
di una proposta alternativa allo stile di vita comune, aperta a quel ‘di
più’ che solo il Figlio di Dio e dell’Uomo può assicurare.
La ‘base’ delle parrocchie sembra ancora poco coinvolta nel clima del Convegno. Come incoraggiare la partecipazione?
Nella
Traccia c’è una parola, ‘coralità’, che esprime bene questa intenzione.
Non vuole dire solo stimolare la partecipazione del popolo di Dio quale
soggetto principe e indispensabile di tutta l’azione di annuncio e di
carità della Chiesa e nemmeno, anche, solo collaborare e mettersi in
gioco in qualche servizio specifico nella comunità. Bisogna passare
attraverso la vita quotidiana, la pastorale ordinaria dove l’annuncio si
fa esperienza di relazioni, di accoglienza, di condivisione, di
speranza. Dobbiamo però anche considerare che ci sono modalità di
partecipazione completamente nuove, attraverso Internet e il sito del
Convegno (che sta riscuotendo molta attenzione e successo). C’è una
partecipazione diffusa e ‘puntiforme’ che non somiglia più a quella
della ‘base’ tradizionale, che aggrega persone, comunità anche fuori dai
confini tradizionali delle parrocchie, delle comunità religiose, dei
movimenti.
Ostensione della Sindone,
Sinodo sulla famiglia, Incontro mondiale di Philadelphia, infine
l’apertura dell’Anno Santo straordinario: il Convegno di Firenze di
inserisce in un’agenda ecclesiale molto intensa…
È
vero che ci sono molti appuntamenti importantissimi in calendario; ma è
anche vero che si tratta di occasioni, contesti, sollecitazioni diverse
tra di loro per tempo, luogo, caratteristiche dei protagonisti. La
continuità e il collegamento vengono non solo dal richiamo mediatico ma
da un contesto culturale di ‘Chiesa viva’, che cerca – perché ne ha
bisogno – di essere presente nell’agorà dei temi che coinvolgono
l’esistenza concreta delle persone, delle famiglie, della società e
soprattutto dei poveri e ultimi. Il primo contributo al ‘nuovo
umanesimo’ mi pare sia proprio in questi termini: offrire la
testimonianza della fede e della speranza attraverso quei linguaggi e
quei canali che le persone e le comunità, cristiane e non cristiane,
frequentano.
In che modo il tema del Convegno di Firenze può dare l’impulso all’attività pastorale delle parrocchie?
La
‘rete’ è la prospettiva più evidente: mettere a confronto, nel sito del
Convegno come nei dibattiti sociali, le esperienze di Chiesa significa
offrire uno scenario di stimoli forti, illuminare su idee e percorsi
che, sperimentati in un certo luogo del Paese, possono ‘trapiantarsi’ in
altri. Il messaggio che deve passare è che le parrocchie – ma anche le
associazioni e i movimenti! – non sono ‘isole di Chiesa': la Chiesa è
una, ed è capace di esprimersi, di diventare viva in modi articolati e,
voglio dirlo, ‘suggestivi’. Dove, cioè, l’esempio dei fratelli è
conoscenza nuova, arricchimento di esperienza.
Certo,
per fare questo bisogna vincere le stanchezze e non fermarsi alle
abitudini. Vale per le opere di carità, per l’azione culturale, ma forse
ancor più per la liturgia e l’annuncio. Non si tratta dell’innovazione
fine a se stessa, ma della forza di vivere nell’attualità, nella
pienezza dei tempi. Una volta si diceva, iniziando la Messa: ‘A Dio, che
allieta la mia giovinezza’… e in chiesa c’erano tutti, non solo gli anagraficamente giovani.
Un
fatto che colpisce è la quantità di iniziative dedicate ai giovani che
le diocesi hanno presentato come contributo al ‘nuovo umanesimo’. Come
interpreta questa scelta?
Perché
non può essere diversamente. Oggi i ‘segni dei tempi’ ci indicano un
vuoto generazionale, in Occidente e non solo, che non riguarda i numeri
dei giovani partecipanti alle attività ecclesiali ma ad ogni tipo di re-
lazione sociale e civile. Rischiamo, forse per la prima volta nella
storia, di costruire destini separati; e invece le differenze tra fasce
d’età non possono diventare differenze di condizioni economiche, di
apprendimento culturale, di opportunità di vita… Investire sui giovani,
averli come priorità è la via di cui disponiamo per provare a ricomporre
un problema che è ben lontano dall’essere solo sociologico.
Cosa sta insegnando Papa Francesco alla Chiesa italiana in cammino verso Firenze?
Papa
Francesco ha suscitato emozioni non superficiali, risvegliando
un’attenzione che non riguarda solo la dimensione religiosa della vita.
Ha richiamato con il suo Magistero, il suo stile di vita e la sua
testimonianza, ogni persona a riflettere su se stessa e sul senso
dell’esistenza; e questo ‘messaggio’ è passato tanto fra i praticanti
che nel più vasto ambiente dei cosiddetti ‘lontani’. È una realtà di cui
il cammino verso Firenze ha tenuto conto fin dall’inizio. La ‘Traccia’
di preparazione al Convegno presenta il tema del nuovo umanesimo in Gesù
Cristo non solo come fattore di crescita nella fede e nella
testimonianza cristiana nel mondo di oggi, ma anche come punto di
convergenza attorno a cui si può unificare l’azione pastorale, lo stile
dell’annuncio proprio oggi della Chiesa, la riforma che papa Francesco
indica come via concreta per rinnovare il volto della comunità a partire
da un equilibrato discernimento sorretto dallo Spirito e guidato dalla
volontà di conversione al Vangelo. Le cinque vie che la ‘Traccia’ assume
dalla Evangelii gaudiumindicano i contenuti e
il metodo di un’azione pastorale nuova e feconda per innestare la
carica missionaria nelle nostre parrocchie come in ogni realtà
ecclesiale.
Cosa dice alla società italiana di oggi il tema scelto per Firenze?
Che
la Chiesa italiana, di cui Papa Francesco vescovo di Roma è il primate,
non si sottrae ad alcuna delle proprie responsabilità, ad una presenza
qualificata nella società e a un confronto serio e rispettoso con le
istituzioni e le culture, perché il ‘nuovo umanesimo’ si costruisce
insieme, non attraverso modelli reciprocamente alternativi. Ma proprio
il ‘partire dal basso’, lo stile della rete, le occasioni di dialogo
prima e durante il Convegno sono qualcosa di più di una scelta di
immagine. Se vogliamo sintetizzare in una sola frase, potrebbe essere
questa: la Chiesa italiana intende camminare, con ancor maggiore
speranza ed entusiasmo, lungo la strada della testimonianza. E la
‘testimonianza’ da dare non può essere che una, quella della carità,
materiale come spirituale e intellettuale.
da Avvenire, 28 marzo 2015
Fonte | firenze2015.it
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