venerdì 24 aprile 2015

Don Paolo Zamengo SDB - Il pastore (Gv 10,11-18)



IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)
Il pastore   Gv 10,11-18
don Paolo Zamengo SDB

Gesù usa l’immagine del buon pastore per definire il suo rapporto con l’umanità o meglio con gli uomini: Io sono il buon pastore. Questo è il titolo, la definizione più disarmante che Gesù ha dato di se stesso.  Ma accanto all’immagine del buon pastore compare quella cupa e subdola del mercenario.
I soggetti in campo sono diversi: il gregge, il lupo, il pastore, il mercenario. Sembrerebbero i personaggi dei una favola della mitologia antica se non fossero invece i protagonisti della storia di sempre, anche di oggi. Gesù vuole che noi riflettiamo perché è la nostra storia.
Il gregge è minacciato costantemente dal lupo e il pastore lo sa perciò rimane guardingo a difesa del gregge.. Mentre il pastore concepisce il proprio compito come missione e responsabilità, il mercenario non trova di meglio che mettere in salvo se stesso e i propri interessi. A lui non importa nulla delle pecore.
Da una parte perciò c’è la vita intesa come servizio dall’altra la vita intesa come ricerca di vantaggi e incolumità personale. Il pastore è per le pecore, per il mercenario le pecore sono per lui e per il suo profitto.
Da che parte arriva il lupo? Da fuori ma non sempre da fuori né da lontano. Talvolta il lupo vive mimetizzato all’interno del gregge. La colpa più grave è quella di chi sfrutta le pecore. Quando cioè si fa del servizio uno sgabello per il proprio prestigio. Il lupo più pericoloso è il pastore malvagio che vede gli altri in funzione di sé.
Anche il buon pastore è interessato ma proprio per questo difende la vita delle pecore e le preserva dall’anonimato perché conosce e tutela ogni singola persona e il suo destino. Dio ama in modo personale. “Dio ama ciascuno come fosse l’unico” dirà S. Agostino.
Dio sa che nel gregge c’è spazio anche la pecora smarrita. Neppure questa è esclusa dal suo amore. “Ho altre pecore che non sono di questo ovile e anch’esse io devo condurre”.  Nessuno si deve sentire escluso dal suo premuroso affetto perché Dio non fa preferenze di persone ma “chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartiene, è a lui accetto”.
Io sono il pastore: il titolo più disarmante e disarmato che Gesù dà a se stesso. Eppure pieno di coraggio, contro i lupi e per la croce. Io sono il pastore bello, aggiunge il testo greco. E noi capiamo che la bellezza del pastore è il fascino che emana la sua bontà e il suo coraggio.
Capiamo che la bellezza è attrazione: Dio  crea comunione. Per questo far parte del gregge di questo pastore è la cosa più bella del mondo.

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