sabato 18 gennaio 2014

Governo dei fallimenti Il grande paradosso

di Arturo Diaconale

Difficile dare torto a Matteo Renzi quando, in riferimento al Governo di Enrico Letta, sostiene che gli ultimi dieci mesi sono stati fallimentari. A ripercorrere a ritroso il cammino dell’Esecutivo nato con le larghe intese e finito ad intese “striminzite” non c’è un solo momento in cui l’ombra del fallimento non lo abbia negativamente segnato. Non c’è un solo ministro che non sia incappato in qualche incidente di percorso. E, soprattutto, non c’è un solo provvedimento significativo che sia stato varato per ridurre in qualche misura le grandi difficoltà che la crisi provoca all’intera società italiana. Enrico Letta sostiene che almeno due grandi risultati positivi il suo Governo li abbia conseguiti.
Ha ricostruito sulla scena internazionale l’immagine del nostro Paese. E ha spaccato il centrodestra provocando la scissione del gruppo di Angelino Alfano e relegando all’opposizione un Silvio Berlusconi azzoppato dalle sentenze giudiziarie e dall’ostracismo politico. Ma Renzi contesta anche questi due risultati. Sostiene che il consenso ricavato da Letta sui mercati internazionali non vale il dissenso contro il Governo che ribolle nei mercati rionali. E, per quanto riguarda il Cavaliere, lascia intendere che la sua liquidazione ad opera dei neo-democristiani delle piccole intese non è andata affatto in porto visto che se si vuole realizzare qualsiasi riforma istituzionale si deve necessariamente passare attraverso un accordo con il semprevivo leader di Forza Italia.
In tempi normali nessun Governo avrebbe potuto resistere ad un giudizio così impietoso e bruciante del segretario del partito che rappresenta l’ottanta per cento della coalizione. Invece, a dispetto del disamore di Renzi e degli incidenti di percorso che, come il caso De Girolamo, punteggiano la vita dell’Esecutivo, Enrico Letta sembra destinato a rimanere ancora a Palazzo Chigi. A tenerlo inchiodato alla poltrona di Presidente del Consiglio concorrono tre fattori specifici.
In primo luogo la protezione di Giorgio Napolitano, che è il vero artefice dell’attuale equilibrio politico. In secondo luogo la sentenza della Corte Costituzionale che ha disegnato una legge fatta apposta a perpetuare le “striminzite intese” in caso di elezioni anticipate. E in terzo luogo la sensazione che Matteo Renzi abbia bisogno di un Governo fallimentare su cui scaricare la rabbia crescente nel Paese per avere il tempo necessario a dimostrare, con qualche riforma significativa, di essere l’unico in grado di portare il Paese fuori dalla crisi. In ultima analisi, dunque, il paradosso è che il più interessato alla sopravvivenza di un Governo inutile è proprio chi più lo critica e lo contesta.
Ma fino a quando questo paradosso riuscirà a mantenere la cosiddetta stabilità del quadro politico? Si dice spesso che in Italia non c’è nulla di più stabile della precarietà. Ma ad una condizione. Che chi la applica sappia sempre mantenere i nervi saldi. Quelli che in questi momenti di tensione sembrano cedere a tutti quelli consapevoli che, per loro, dopo la precarietà stabile non c’è alcun futuro politico.
L'Opinione

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