giovedì 16 gennaio 2014

Fascismo mediatico e talk senza appeal


di Paolo Pilitteri
C’è un duplice allarme a proposito di televisione, o meglio, di talk-show che è la forma, il modello up to date del linguaggio/dibattito politico odierno. Una proviene da un capace addetto ai lavori come Maurizio Caverzan de “Il Giornale” che, per l’appunto, mette in evidenza la scarsa utilità dei talk show, nel senso che raramente superano il 5% dello share, attirandosi così le ire di Porro, che è pure il suo vicedirettore, ma al tempo stesso conduttore di un talk show (Virus su Rai 2) non sempre molto fortunato all’Auditel.

Quanto all’Auditel, suprema cassazione del “gradimento televisivo”, è inutile ripetere che persino Floris e Santoro, per non dire di Paragone (tutti ottimi professionisti, ci mancherebbe) non hanno più quell’appeal di una volta. Poi c’è un’altra voce, più autorevole perché più dentro la politica, anzi più “politica” che mai, che è quella di Rino Formica (sulla gloriosa “Critica Sociale”), grande protagonista della nostra polis, socialista doc e dunque testimone preciso e fremente di quanto sta accadendo, con un occhio ai palazzi, soprattutto il Quirinale di Napolitano “ultimo figlio generoso e forte della grande generazione dei padri repubblicani”, e con un altro alla televisione che a fronte dell’irrimediabile crisi dei partiti (incapaci di riforme vere e profonde), ha immesso nel corpo nazionale il “Fascismo mediatico”.

Trattasi né più né meno che un virus - non sempre quello del pur bravo Porro, ma poco ci manca - perché ha trasformato il corpo vivo della nazione, l’ha manipolato e, alla fine, l’ha distrutto, infettandolo, guastando la politica e paralizzando i sindacati giacché “il mezzo di comunicazione è diventato un fine, senza regole, senza guida, senza cultura politica”. In questo senso il ragionamento di Formica approfondisce i termini di un problema che non è di oggi ma, semmai, di questi vent’anni sprecati e usati soltanto per parlarsi male a vicenda, per delegittimarsi reciprocamente dando, tutti insieme, la colpa di tutto alla Prima Repubblica senza neppure rendersi conto che ne avevano, vent’anni dopo, più che raddoppiato quel debito pubblico che avevano elevato a loro paradigma, espressione di ipocrite lamentazioni sul peccato originale del passato sperperatore che la loro insipiente superiorità morale avrebbe bloccato e ridotto: cioè raddoppiato.

Un micidiale boomerang. Ebbene, c’è anche in questo silenzio, in questa mistificazione che la tv, privata e pubblica, non ha mai voluto mettere a fuoco nei suoi pur bulimici talk-show, l’evidenza di quel fascismo mediatico che lungi dal contribuire nei suoi pro (pochissimi) e nei suoi contro (quasi tutti) a rimodernare e riqualificare la politica facendone il perno insostituibile del dibattito pubblico e della mediazione sociale, l’ha devastata. Quello speciale virus l’ha schiacciata sotto il martellare di un costante trattamento squadristico riducendo la politica, con le sue istituzioni, a quello che è: una democrazia in crisi violenta, i partiti evaporati in fantasmi, sia pure leaderistici, le istituzioni pubbliche a rischio di crollo per via della disgregazione sociale.

Colpa della tv, diciamo noi? Non si vuole arrivare a questo, giacché la tv è lo specchio del Paese e, dunque, della politica. Ma il dibattito interno ai responsabili dei mass media, di cui abbiamo citato un piccolo eppur significativo episodio, sta esprimendo una vena autocritica peraltro rara ma importante nel segnalare un disagio e, al tempo stesso, una disaffezione crescente. Per esempio, il gradimento per la trasmissione dell’altra sera di Del Debbio “Quinta colonna” su Rete 4, superiore a quello di Formigli (“Piazza Pulita” in onda su La7), ha messo in luce come la presenza di un formidabile affabulatore anti-ideologia come Roberto D’Agostino abbia fatto la differenza rispetto al totus politicus divenuto un “tutto contro tutti” di Formigli.

C’è infine una testimonianza di Luca Sofri, presente l’altra sera a “Ballarò”. Sul suo “Post” ha ripetuto quanto osservava in trasmissione criticando l’unidirezionalità del pubblico che applaudiva ad ogni demagogica tirata contro i “politici che se ne devono andare tutti perché tutti ladri”. Ebbene, quella voce fuori dal coro ha messo il dito nella piaga, svelando non solo che il re televisivo è nudo ma che il fascismo mediatico è un virus sparpagliato un po’ dovunque in quel “mezzo di comunicazione che è divenuto un fine, senza regole, senza guida, senza cultura politica”.

L'Opinione

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