venerdì 27 dicembre 2013

Il cervello e la persona


Veramente impressionante il modello del cervello umano presentato giovedì 19 dicembre nello studio televisivo di Piero Angela: più alto dello stesso conduttore, rappresentava, ingrandite, tutte le circonvoluzioni esterne e tutte le strutture interne, visibili a richiesta.
La storia evolutiva del cervello e poi soprattutto la sua anatomia, la sua fisiologia e il suo funzionamento sono stati discussi ed affrontati nel corso della lunga trasmissione, contrappuntata da interviste con personaggi illustri nel campo delle neuroscienze, per lo più emeriti, come il prof. Piergiorgio Strata e il prof. Giovanni Berlucchi.
Linguaggio tecnico sapientemente dosato ed incalzante, insipidito con esempi, immagini e filmati come ci ha abituato Angela ormai da qualche decennio, il discorso è filato via veloce ed interessante offrendo un’ampia panoramica delle conoscenze attuali sul cervello.
Onore dunque all’impresa di scienza e di comunicazione che Angela ci ha offerto anche in questa occasione.
Vorrei qui condividere una riflessione, all’inizio un semplice flash, che è diventata sempre più ingombrante mano a mano che la presentazione proseguiva e andava a toccare tutti gli aspetti della nostra vita implicati con questo organo speciale.
Il cervello umano, che pesa poco più di un chilogrammo e che consuma ossigeno dieci volte di più degli altri organi, con una spiccata predilezione per il glucosio, rappresenta ancor oggi una grandissima sfida per gli scienziati che cercano di carpire i segreti alla base delle sue incredibili performances come il pensiero, la coscienza, la volontà, la memoria, i desideri, il linguaggio, le diverse intelligenze, ecc…
Un centinaio di miliardi di neuroni intrecciati in una rete inimmaginabile di contatti e di relazioni costituiscono il supporto materiale visibile della nostra identità più profonda, quella che ci contraddistingue da tutti gli altri animali, ma possono bastare a creare quello spettacolo infinito di possibilità che contraddistingue l’essere umano?
Comunque si rivolti il cervello, la domanda resta la stessa, quella di sempre: noi siamo il nostro cervello?  O ancora: quello di cui siamo consapevoli, quello che proviamo e quello che facciamo… nascono e muoiono lì, nel volume del cervello?
Dopo due ore di trasmissione, sia pur con qualche interruzione pubblicitaria, questo interrogativo è diventato sempre più lacerante: da una parte la ricerca empirica ha evidenziato i circuiti neuronali di molte funzioni superiori e dall’altra la riflessione sintetica ci costringe a coinvolgere il tutto (la persona) nelle funzioni di ogni sua parte (cervello compreso).
Come il motore della macchina che funziona grazie a tutte le sue componenti ma non si lascia esaurire in nessuna di esse: esempio riferito dallo stesso Angela.
E’ ragionevole pensare che il cervello materiale, fatto di neuroni, di neurotrasmettitori e di scariche elettriche, sia l’autore del pensiero, della volontà, dell’amore, della memoria, del linguaggio, ecc… e non semplicemente quella “parte di noi” che meglio li elabora, li manifesta e li realizza?
Ciascuno di noi, colto o ignorante che sia, si rende conto della difficoltà che incontriamo ad attribuire ad una rete di neuroni, sia pur “strutturata”, quelle performances spirituali che sono il tessuto della nostra vita quotidiana.
La sensazione che abbiamo è infatti che il cervello sia organo necessario, certamente, ma non sufficiente a spiegare quello che siamo.
Quando diciamo: “ho visto con i miei occhi”; o ancora: “la corteccia motoria è la sede dei movimenti volontari”, non facciamo un passaggio riduzionista certamente accettabile nel campo della comunicazione (anche didattica) e perfino doveroso nel campo della ricerca, ma fuorviante in quello della riflessione epistemologica?
Come possono gli occhi vedere?  Come può un neurone della corteccia del lobo parietale decidere la passeggiata delle mie gambe?
Credo che giovi sempre, quando si riflette ad un livello superiore a quello richiesto dalla ricerca empirica, ricondurre tutte le funzioni come la memoria, la vista, l’udito, la volontà, l’intelligenza, il linguaggio, ecc…, all’intera persona e non tanto al singolo lobo o alla singola area cerebrale maggiormente coinvolta nel fenomeno, da un punto di vista elettrico o metabolico.
Del resto, non è vero che basta un mal di denti o un piccolo dispiacere a precludere tante nostre funzioni cerebrali, da quelle cognitive a quelle di memoria, da quelle creative a quelle sensoriali?
Uno dei passaggi cruciali della trasmissione è stato il tema della “scelta” che il nostro cervello compie a fronte di più soluzioni per un dato problema; sembra che il cervello si comporti come noi, ovvero seleziona i pro e i contro di ogni percorso, in termini di impulsi eccitatori ed inibitori, e quindi decide.
E’ evidente in questo passaggio che l’antropomorfizzazione del neurone e delle sue scariche elettriche è un processo che può funzionare in chiave didattica e comunicativa, ma certamente non in chiave di interpretazione filosofica.
La scelta che l’uomo compie in ogni atto della vita quotidiana implica un protagonismo libero e creativo che rimanda ad un soggetto unitario, consapevole, che non si lascia ingabbiare in un gioco di neurotrasmettitori, che ne saranno piuttosto l’effetto, che la causa…
E allora, con queste consapevolezze, il rapporto tra noi e il nostro cervello rimane lì, aperto davanti a noi, con tutta la sua complessità irriducibile, e ci fa evocare quel termine che, se fino a qualche anno fa rimaneva un tabù nel linguaggio dei nostri positivisti, oggi riprende dignità anche nei testi scientifici di qualità: il “mistero”, come di una “cosa” che supera sempre la nostra capacità di comprensione e che rimanda al di fuori del suo perimetro.
Come dice il neuro linguista di Pavia, il prof. Andrea Moro, “accettare il mistero è una componente temporanea o definitiva della comprensione della realtà: deve far parte del metodo scientifico.  Se lo si esclude, si parte con un dogma ideologico di onnipotenza conoscitiva che non trova nessun fondamento filosofico, empirico, né tantomeno logico”.

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