martedì 13 maggio 2014

Le nigeriane rapite, bring back our girls

di Cristofaro Sola


John Stuart Mill, padre del pensiero liberale, scriveva nel suo pamphlet “La schiavitù delle donne” (1869): “Il matrimonio è il destino che la società assegna alle donne… Originariamente le donne venivano prese con la forza o regolarmente vendute dal loro padre al marito”. Per il filosofo inglese la mancata partecipazione “dell’altra metà del cielo” allo sviluppo della società moderna avrebbe rappresentato un danno economico e culturale per l’intero consorzio umano.

Eppure Mill analizza un passato che, per una parte, è già alle spalle della sua generazione. L’ideale di matrice illuminista del progresso dell’umanità, nel tempo storico della rivoluzione industriale, induce all’ottimismo. Pazienza se poi ci vorrà oltre un secolo per consolidare, nell’ethos della comunità occidentale, il principio della parità di genere. Mentre qualche anno ancora, a terzo millennio avviato, occorrerà per adeguare le norme ordinamentali dei singoli Paesi all’uguaglianza tra sessi. Quindi, fare la parte dei primi della classe in materia di diritti delle donne neanche noi, evolutissimi occidentali, ce lo possiamo permettere visto il tempo che la nostra civiltà ha impiegato per metabolizzare la comprensione di uno dei più complessi problemi della storia umana.

Tuttavia, accadono oggi nel mondo cose che non possono essere taciute. Cose per le quali non vi sono, né potrebbero esservi, interessi da tutelare o equilibri da preservare. Cose che sono totalmente inaccettabili. Cose che gridano vendetta davanti a Dio e agli uomini, tanto sono gravi, disumane, violente, atroci. Cose per le quali neanche la pietà può fare da argine al desiderio di impartire ai colpevoli il giusto castigo, con il massimo della severità possibile. Siamo al cospetto di una realtà orribile, che colpisce le coscienze. Spacca i cuori. Angosciante, peggio di un film horror.

L’ambientazione: la città di Chibok nello Stato del Borno, nel nord-est della Nigeria. Il momento: la notte dello scorso 14 aprile. La scena: il dormitorio di una scuola. Le vittime: circa trecento giovani studentesse. Il fatto: il loro rapimento con la forza ad opera di un commando armato. Gli autori del crimine: la solita banda di feroci criminali di “Boko Haram”, il gruppo terroristico che, dalla sua fondazione avvenuta nel 2002, semina morte in tutta l’area interna della Nigeria. Il caporione che li comanda: Abubakar Shekau, assassino jihadista di origini nigeriane, noto per essere al vertice della top ten dei più pericolosi ricercati d’Africa. Guida l’organizzazione criminale dopo che il suo fandatore, altro fior di criminale, Ustaz Mohammed Yusuf, è stato catturato e ucciso, nel 2009, dalle forze regolari nigeriane nel corso di un attacco a un covo dell’organizzazione. Gusti della belva criminale: gli piace uccidere chiunque Allah gli ordina di uccidere, allo stesso modo in cui gli piace uccidere le galline. Dicono di lui: “È il più pazzo di tutti i comandanti. Crede veramente sia giusto uccidere chiunque sia in disaccordo con lui”.

Perché oggi se ne parla, a oltre un mese dall’accaduto? Perché lo scorso sabato, a Washington, davanti alle telecamere si è presentata, al posto del marito, la signora Michelle Obama con un cartello su cui era scritto “Bring back our girls” (“restituiteci le nostre ragazze”). La first lady ha ricordato quel dramma e ha offerto il suo sostegno alle famiglie delle vittime, ha poi promesso d’intervenire presso il marito, Barack, perche gli Stati Uniti aiutino il governo nigeriano a ritrovarle. Ma anche la “bestia” ha parlato. Perché ci dovrebbero interessare le parole di un vile assassino? Perché questa scoria velenosa dell’umanità, la settimana dopo il rapimento delle giovani, si è fatto riprendere in un video nell’atto di comunicare la sua spudorata minaccia: “Venderò le vostre figlie al mercato in nome di Allāh. Appartengono a lui”. Per ora sono nelle sue mani come schiave. Di quale colpa le accusa questo pscicopatico? Di essere studentesse. Sì, cari lettori, avete inteso bene! La loro colpa grave è che volevano studiare e si sa che, nella logica dei terroristi islamici, la cultura è reato, a maggior ragione se praticata da donne. Esse devono lasciare la scuola e devono essere date in spose, perché si compia il loro destino inevitabile. Non c’è da stupirsi, Boko Haram in lingua hausa vuol dire proprio “l’educazione occidentale è peccato”.

Perché ci preoccupano le sue deliranti minacce? Perché questo galantuomo “ha sposato in pieno le tattiche più estreme di al Qaeda, ha ambizioni regionali. Il suo gruppo si finanzia con il crimine ed ha rapporti con gli Shebab e i qaedisti del Maghreb”. In poche parole, se continua così, di massacro in massacro, la “bestia” ce la ritroviamo a fare coaching aziendale per accrescere le “competenze” dei terroristi delle regioni libiche del Fezzan e della Cirenaica, in partenza per le coste italiane grazie al “piano incentivi all’immigrazione” messo su dalla nuova coppia Boldrini-Alfano. Qual è il bacino potenziale d’azione di Boko Haram? Dalla Nigeria, che conta una popolazione di oltre 160 milioni di individui, di cui la metà di religione cristiana, Abubakar Shekau si sta spostando con i suoi accoliti nel vicino Camerun per poi puntare a Nord, in direzione della fascia del Sael. Se avvenisse la saldatura tra tutti i gruppi terroristici che operano in quell’area del continente africano, per l’Europa e per i Paesi in via di stabilizzazione del Nord Africa sarebbe una catastrofe di proporzioni incalcolabili.

Cosa fare per impedire che in Nigeria accada il peggio? In primo luogo, allestire una forza multilaterale di pronto intervento che abbia due chiari obiettivi: liberare le ragazze ostaggio dei terroristi ed eliminare fisicamente la “bestia” con il massimo danno possibile per l’intera banda. Tagliare la testa dell’organizzazione darebbe alle forze d’intelligence occidentali più tempo per approntare efficaci contromisure alla minaccia terroristica. In realtà, ci sarebbe da fare anche dell’altro. Ci sarebbe da rivedere la politica commerciale delle multinazionali nel continente africano, in particolare del settore energetico. I colossi industriali dovrebbero lasciare un po’ più risorse finanziarie da destinare a investimenti volti a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni dei territori di cui sfruttano le ricchezze naturali. Ma queste cose non si possono dire a voce alta per non offendere l’udito di certi liberisti duri e puri.

Per ora ci acconteteremmo che le ragazze fossero restituite, indenni, alle famiglie e ai loro veri affetti. Non dimentichiamo che sono da considerare delle autentiche eroine per il solo fatto di aver scelto di emanciparsi attraverso lo studio e l’apprendimento umanistico e scientifico. Pensiamole tutte come nostre figlie. Cosa vorremmo più d’ogni altra cosa? Rivederle vive. Se saranno riportate sane e salve alle loro case, potranno continuare a coltivare il sogno, che è anche il sogno di un’intera generazione, di formare un giorno la nuova classe dirigente del proprio Paese. Di esserci nella storia, non come schiave, non come spose bambine vendute a 12 dollari ciascuna, non come oggetti, non come vittime dimenticate del fanatismo religioso, ma come donne.

Facciamo, allora, l’impossibile perché tutte loro ritornino alla vita. Intervenga anche il nostro governo, che della questione della parità di genere ha fatto un megaspot ad uso per la propaganda. E che la “bestia” Abubakar Shekau venga definitivamente cancellato. Una pallottola per feccia del suo genere sarebbe un onore immeritato. Meglio una forca. Così che i parenti di quelle migliaia d’innocenti, in maggioranza cristiani, che la “bestia” ha massacrato senza pietà alcuna, possano vederlo penzolare.

Bring back our girls!

Fonte: L'Opinione

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