martedì 6 maggio 2014

Bellezza e santità


di P. Aldino CAZZAGO ocd

Dopo aver osservato alla televisione tutto ciò che c’era da vedere sulla santità di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II, e al netto di un po’ di facile retorica (giornalisticamente parlando) su questo tema, viene spontaneo chiedersi: “Ma, alla fine, che cos’è la santità?” e “Perché la santità è ancora capace di scaldare i cuori delle persone?”.

La bellezza

Vorrei rispondere con una similitudine. La santità è per la vita cristiana ciò che la bellezza è per un’ opera d’arte. Molti di noi, probabilmente, non sanno fare grandi e filosofici discorsi sulla bellezza, eppure si commuovono di fronte ad un tramonto, al viso di un bambino, ad un quadro di Caravaggio o ad un brano di musica. Questo semplice fatto ci dice che, anche se non sappiamo argomentare sotto forma di discorso il concetto di bellezza, sappiamo, però, farne esperienza, provarla, quando, per così dire, essa si incarna e ci “appare” nella forma del tramonto, del volto di un bambino, della pittura di Caravaggio e della musica. Fare esperienza di bellezza significa fare esperienza di qualcosa che attrae, che chiama ad uscire da se stessi. Il legame tra bellezza e chiamare è particolarmente evidente in greco perché kalòs, bello, ha la stessa radice di kalein, chiamare, fare cenno di avvicinarsi. Ha scritto Simone Weil: «Una cosa bella non contiene alcun bene all’infuori di se stessa, nella sua interezza, quale ci appare. Noi le andiamo incontro senza sapere che cosa chiederle, ed essa ci offre la propria esistenza. Quando la possediamo, non desideriamo altro; ma allo stesso tempo desideriamo qualcosa di più. Senza sapere assolutamente che cosa».

La santità

Nei confronti della santità accade qualcosa di simile. Per molti la santità resta un tema astratto e un po’ fuori da ciò che abitualmente si identifica con la realtà e la concretezza della vita e, nonostante questo, quando essi incontrano persone riconosciute “sante”, quella santità che fino a pochi istanti prima era cosa astratta e irreale diventa concreta e palpabile. Le stesse persone che non saprebbero fare un discorso sulla santità sarebbero, però, in grado di descriverne - perché direttamente colpiti - la sua manifestazione in termini di accoglienza, gratuità, benevolenza, compassione e amore a partire dallo sguardo di colui che è riconosciuto “santo”.
Le parole del killer del Beato Pino Puglisi illustrano in modo preciso quanto appena affermato. In un’intervista egli ha così rievocato gli istanti che precedettero l’uccisione del sacerdote palermitano: «Spatuzza [un componente del commando che uccise Puglisi] gli tolse il borsello e gli disse: “Padre, questa è una rapina”. Lui rispose: “Me l’aspettavo”. Lo disse con un sorriso. Un sorriso che mi è rimasto impresso». Al giornalista che gli chiede se si trattava del «sorriso di un santo?», egli ha così risposto: «Non ho esperienza di santi. Quello che posso dire è che c’era una specie di luce in quel sorriso. Un sorriso che mi aveva dato un impulso immediato. Non me lo so spiegare: io già ne avevo uccisi parecchi, però non avevo mai provato nulla del genere. Me lo ricordo sempre quel sorriso […]. Quella sera cominciai a pensarci, si era smosso qualcosa».

Conclusione

Ciò che accomuna la bellezza alla santità è la loro stessa capacità di attrarre a sé chi le incontra, la stessa capacità di portare in un altro “luogo” chi ne fa esperienza. Simone Weil ha ragione di dire che «la tendenza naturale dell’anima ad amare la bellezza è la trappola più frequente di cui si serve Dio per aprirla al soffio che viene dall’alto». Con le debite differenze, quando si incontra un santo, come ci hanno ricordato perfino le parole dell’assassino di Padre Puglisi, accade la stessa cosa.
Un grande tesoro è oggi più che mai nelle mani della Chiesa e delle singole comunità cristiane: quello della bellezza, grazie all’arte, e quello della santità grazie ai suoi testimoni più autorevoli. Dipende solo da noi farne un uso e un’esperienza intelligenti. Vale per la santità quello che il direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci, ha affermato nei confronti della bellezza: «Noi viviamo perché immaginiamo delle forme di bellezza. Non c’è speranza senza una qualche idea di bellezza».

Nessun commento:

Posta un commento